Siamo un gruppo di donne: amiche, colleghe, mamme... Da tempo mettiamo le nostre esperienze di solidarietà femminile in comune, ne parliamo, riflettiamo, e pensiamo che molte donne costruiscano, nella vita di tutti i giorni, una silenziosa ma potente rete di affetti, di aiuti, di sostegno. Alcune di noi vengono da altre esperienze o vi sono tuttora coinvolte (Comitato per la pace Spartacus, Collettivo Echidna, Mamme per la Pace...), altre si sono semplicente unite confluendo il loro apporto personale di donne attente alla realtà che ci circonda e con la volontà di "uscire dal silenzio". Abbiamo pensato di costituire un gruppo, il Collettivo Pacha Mama, per cercare di essere un punto di riferimento e di scambio di esperienze per chiunque si senta sensibile alla lotta e alla solidarietà femminili.

AVVISO


Ciao a tutt*, è stata ripristinata la mail vecchia:

pachamama.ferrara@hotmail.it

ci auguriamo che non venga bloccata mai più

sezioni

31 gen 2008

Biglietto per vedere le Donne Giraffa

dal Corriere della sera del 31gennaio2008

Il governo di Bangkok non le lascia espatriare: perderebbe gli incassi

Donne giraffa, l'assedio dei turisti

Thailandia, allarme per l'etnia Padaung: biglietto per vederle, come allo zoo

Una donna Padaung con il figlioletto in braccio (Ansa)
MILANO — Per la prima volta in 18 anni, Zember si è tolta i suoi anelli di ottone. «All'inizio mi sentivo a disagio », dice, massaggiandosi la gola. Zember, figlia di Mu Pao, è una ribelle. La sua è una protesta silenziosa e non violenta, che in qualche modo si addice al verde delle risaie intorno a Mae Hong Son, al Nord della Thailandia, al confine con il Myanmar.

Zember è una ragazza di etnia Padaung. Negli anni '90, il suo popolo ha lasciato l'ex Birmania dei generali, in fuga dall'esercito che rastrellava gli uomini per farli a lavorare come portatori. La «terra promessa» si chiamava Thailandia. Lo stesso Paese che oggi, accusa l'Onu, li sottopone a un altro tipo di sfruttamento, più sottile ma non meno letale: quello del «turismo etnico». Perché le donne Padaung hanno anche un altro nome, coniato per loro da un ormai dimenticato esploratore polacco: «donne giraffa ». Il loro collo appare lungo in modo innaturale grazie all'uso di pesanti anelli di ottone, che pesano sulle clavicole e sul torace.

Nei dintorni di Mae Hong Son ci sono tre villaggi Padaung. Gli abitanti (circa 500) sono profughi birmani; in Thailandia, secondo l'ultimo rapporto dell'Unhcr — l'Alto commissariato Onu per i rifugiati —, sono presenti 133 mila rifugiati. Dal 2005, circa 20 mila sono stati «ricollocati» in altri Paesi: niente più campi dove le giornate si susseguono una uguale all'altra, ma una vita vera, una casa, un lavoro. Fosse pure in un luogo lontano. Una nuova possibilità; ma non per i Padaung. Un gruppo di «donne giraffa» e di loro familiari è bloccato da due anni all'interno dei confini thailandesi. Le carte sono pronte, Finlandia e Nuova Zelanda hanno già offerto la loro ospitalità; «Non riusciamo a capire — ha dichiarato alla Bbc la portavoce regionale dell'Unhcr, Kitty McKinsey — perché a queste 20 persone non sia concesso di iniziare una nuova vita».

L'accusa è netta e senza esitazioni: il governo non vuole lasciar partire i Padaung per il ruolo centrale che rivestono nel circuito turistico. Perché i «lunghi colli» non vivono con gli altri rifugiati; per loro sono stati creati dei villaggi a sé, in cui anche un turista ha il permesso di entrare, purché sborsi una «tassa» da 250 baht (poco meno di 6 euro). Ufficialmente, gli abitanti non possono lavorare all'esterno; la loro sussistenza è legata alla percentuale del biglietto di ingresso che rimane nelle loro tasche. «È uno zoo umano — accusa la McKinsey —. L'unica soluzione è che i turisti smettano di andarci». Boicottaggio, dunque. Il governo, da parte sua, si trincera dietro a questioni burocratiche: i Padaung «non sono rifugiati — spiega alla Bbc il questore Wachira Chotirosseranee —; stando al regolamento, per esserlo bisogna vivere all'interno dei campi profughi» («Ma se sono state le autorità a volere che si stabilissero fuori!», replica la McKinsey). Peccato che un anno fa il senatore Kraisak Choonhavan avesse dichiarato alla Reuters: «I thailandesi, spiace dirlo, sono insensibili nei confronti delle minoranze etniche. E le "tribù delle colline" sono sempre stati un'attrazione redditizia».

Va detto che a molti dei Padaung la situazione non appare così drammatica: «Siamo al sicuro e possiamo guadagnare qualche soldo», concede Mu Pao. Ma i più giovani (tra cui sua figlia Zember) iniziano a farsi qualche domanda. «Sono felice che i turisti vengano qui — riflette Ma Ri —, ma se ci penso seriamente, capisco che lo fanno perché siamo "strani"». Un po' come i viaggiatori che percorrono centinaia di chilometri, in Etiopia, per uno scatto alle donne Mursi con il loro piattello labiale. Per l'antropologo Marco Aime (autore de L'incontro mancato. Turisti, nativi, immagini), «tutto nasce dalla domanda di primitivismo dei turisti, di fronte a cui molte popolazioni "mettono in scena" la propria cultura e tradizione »; è il caso dei Dogon del Mali, in prevalenza musulmani, che «ritornano » animisti ad uso e consumo degli stranieri. «Se da un lato questo permette di uscire da uno stato di povertà, dall'altro c'è il congelamento della creatività. Il boicottaggio? Ha un senso dove, come qui, c'è un meccanismo di sfruttamento. Ma se le tribù sanno gestire l'incontro, dimostrano di essere vive, in grado di rispondere a nuovi stimoli. E di prendere ciò che serve da entrambe le culture».

Gabriela Jacomella
31 gennaio 2008

Da Miss a prostituta

dal Corriere della sera del 31 gennaio 2007

Storia di Natasha, da miss a prostituta

Vive in Nicaragua, ha 19 anni e dopo aver vinto diversi concorsi di bellezza, si ritrova a lavorare in un bordello


MANAGUA (NICARAGUA) - In passato ha vinto diversi concorsi di bellezza e ha sognato a lungo di diventare una modella internazionale. Adesso invece lavora come prostituta sei giorni su sette in una squallido bordello al centro di Managua, capitale del Nicaragua. E' la triste storia di Natasha, ex modella diciannovenne che ormai non s’illude più di calcare un giorno le passerelle più importanti al mondo, ma vende il suo corpo per sopravvivere in un paese a lungo martoriato da una terribile guerra civile e oggi ulteriormente impoverito da un’endemica disoccupazione.

FAVOLA SPEZZATA - La favola spezzata di Natasha è raccontata nell'edizione odierna del Guardian di Londra che sottolinea come appena tre anni fa l'allora sedicenne nicaraguese aveva vinto due prestigiosi concorsi di bellezza nel suo paese, aggiudicandosi tra l’altro anche il titolo di Miss "più belle gambe" del Nicaragua. Proprio per inseguire i suoi sogni di modella, con i pochi soldi messi da parte Natasha decise di abbandonare Bluefilds, la sua città nel sud del paese e di trasferirsi nella capitale Managua. Con il passar del tempo, però, la giovane si è accorta che la realtà è molto diversa dalla fantasia: oggi a 19 anni è oramai una veterana del "Salvadoreño", un bar-bordello che si trova in un distretto malfamato della capitale chiamato "Costa Rica".

DENARO E PROSTITUZIONE - Natasha racconta al quotidiano britannico che ormai ha dimenticato le emozioni del passato e adesso pensa solo a mettere da parte denaro. Considera una bella giornata quella in cui riesce a guadagnare poco più di 60 euro, andando a letto con 18 persone e chiedendo poco meno di 3 euro per una prestazione sessuale di mezz'ora. Molti dei suoi clienti sono ubriachi e violenti e Natasha non nasconde le tante difficoltà che ancora incontra: "Non auguro nemmeno alla mia peggior nemica di capitare qui un giorno. Questa è la cosa peggiore che puoi fare". La disoccupazione non offre altre strade a tante donne nicaraguesi. Due mesi fa la polizia fece un mega blitz e per ordine del governo chiuse diversi bordelli a Managua. Secondo l'esecutivo sandinista questo era l'unico modo per proteggere le donne dalle violenze e dalla sottomissione. Ma le lucciole non gradirono e organizzarono una grande protesta contro quest’iniziativa governativa, definita prontamente dalle ragazze di strada “una violazione dei diritti delle prostitute”. Dopo appena una settimana le autorità fecero marcia indietro e le ragazze sono velocemente tornate al lavoro

TRA VIOLENZE E STUDI UNIVERSITARI - Anche Natasha ritiene che l'iniziativa del governo fosse fondamentalmente sbagliata: tanta gente come lei infatti si prostituisce unicamente per sopravvivere e aiutare i familiari che vivono lontano senza un lavoro e senza speranza. La ragazza afferma che anche nei giorni in cui i clienti sono pochi, lei guadagna più di un dottore o di un professore. Nel suo giorno libero, invece, studia scienze bancarie all'università: "Per adesso questa è la mia vita" afferma la diciannovenne che precisa che se un cliente diventa troppo violento, lei comincia a gridare così un uomo dello staff del bordello viene in suo soccorso. "Puoi immaginare come è stato difficile il mio primo giorno qui". Natasha racconta che fino all'anno scorso aveva un fidanzato, ma che la storia è finita quando per puro caso costui è entrato nel bar del bordello e l’ha vista mentre intratteneva i clienti: "Fu davvero qualcosa d'imbarazzante. Corsi fuori e cominciai a gridare. Non so se nella mia città natale sanno il lavoro che faccio, di certo non sa nulla mia madre. A lei ho raccontato che mi sono sposata e mio marito mi da i soldi che le spedisco. Naturalmente è una bugia".

Francesco Tortora
31 gennaio 2008

13enne sequestrata e violentata

dal corriere della sera del 31 gennaio 2008


la giovane lo ha riconosciuto: l'uomo prelevato dalla sua casa in provincia di belluno

Sequestra e violenta 13enne: arrestatoIn manette Antonio Bombieri, 44 anni: avrebbe stuprato a Marostica una ragazzina fatta salire sulla sua auto

VICENZA - Prima il sequestro poi lo stupro. Un operaio vicentino di 44 anni è stato fermato dai carabinieri con l'accusa di aver violentato una ragazzina di 13 anni che aveva condotto in un luogo appartato, sulle colline sopra Marostica (Vicenza), dopo averla fatta salire con uno stratagemma sulla propria auto.

LA VIOLENZA - La ragazza era stata raccolta mercoledì sera sulla strada da un automobilista, lacera, ferita e sotto choc; era riuscita a fuggire dal suo aguzzino buttandosi lungo una scarpata erbosa. L'aggressore non l'aveva più trovata a causa del buio. L'uomo in stato di fermo, con l'accusa di violenza sessuale aggravata dall'uso di un coltello, è Antonio Bombieri, originario del bassanese, residente ad Arsiè (Belluno); ai carabinieri, che l'hanno prelevato in casa stanotte, ha negato ogni responsabilità. La 13enne ha però riconosciuto una foto di Bompieri come quella del suo violentatore.


31 gennaio 2008

Assassinata per lite condominiale

Da Repubblica.it del 31 gennaio 2008

Assunta Romagnoli, 29 anni, madre di due bambini, assassinata
davanti alla chiesa: era andata a prendere la figlia che usciva da catechismo

Lucera, uccisa in piazza a coltellate
L'omicidio per una lite condominiale

L'autore del delitto si è costituito ai carabinieri un'ora dopo


LUCERA (FOGGIA) - L'ha uccisa a coltellate nella piazza di Lucera dopo l'ennesimo litigio per questioni condominiali. Franco Ricciardi ha ammesso l'omicidio di Assunta Romagnoli, 29 anni, madre di due figli. L'uomo si è presentato ai carabinieri circa un'ora dopo il delitto.

Il giovane avrebbe ammesso le proprie responsabilità nel corso dell'interrogatorio cui è stato sottoposto nella notte dal pm del tribunale di Lucera Pasquale De Luca, che ha emesso nei suoi confronti un provvedimento di fermo.

La donna era andata a prendere una sua figlioletta dalla lezione di catechismo. Mentre era in attesa davanti alla chiesa, è stata colpita alle spalle con una coltellata. L'aggressore è scappato; lei è stata soccorsa e portata in ospedale, ma è morta durante il tragitto.

Sono giunti poco dopo i carabinieri che, sulla base delle testimonianze delle altre persone che erano dinanzi alla chiesa, in poco tempo hanno identificato il presunto aggressore. Mentre veniva cercato, il giovane si è presentato in caserma.

(31 gennaio 2008)

Abusi sulle figlie

dal Resto del Carlino di Ferrara del 29 gennaio 2008

UDIENZA PRELIMINARE

Abusi sulle figlie,
la madre parte civile

Il 23 aprile la discussione per il webmaster accusato di pornografia minorile, in quella data si conoscerà il destino giudiziario di Sergio Marzola, arrestato nell'agosto 2006 in città

Ferrara, 29 gennaio 2008 - BISOGNERÀ ASPETTARE il 23 aprile prossimo, giorno fissato per la discussione con rito abbreviato, per conoscere il destino giudiziario di Sergio Marzola, 42 anni, webmaster accusato di pornografia minorile e arrestato nell’agosto del 2006 nella sua abitazione di via Pescherie Vecchie. Ieri pomeriggio il gup, Silvia Migliori (pm Filippo Di Benedetto) accogliendo la richiesta di rito abbreviato presentata dai difensori, i legali Aldo e Francesco Andriulli, ha fissato anche la data della prossima e forse conclusiva udienza. La novità, emersa in aula è la costituzione di parte civile, attraverso l’avvocato Claudio Maruzzi, della madre delle due bambine di 12 e 13 anni, al centro del terrificante filmato girato in Belgio dal quale è partita l’inchiesta condotta dai pm Nicola Proto e Filippo Di Benedetto. «Nel video — spiega Maruzzi — le due bambine comparivano con indumenti intimi e anche prive di indumenti ed erano al centro di abusi da parte di un uomo che le stesse chiamavano papà». Quell’uomo Taverne P. chiamato papà dalle due bambine fu il primo a finire in carcere nel luglio del 2006 per le ripetute violenze sussuali sulle due figlie. Dietro la telecamera di quei filmini c’era Sergio Marzola, contro il quale pendono questi capi d’imputazione: realizzazione, produzione, divulgazione e commercializzazione di materiale pedopornografico, violenza sessuale nei confronti di minori, sfruttamento di altre 22 ragazze minori non completamente identificate di nazionalità ucraina e detenzione di materiale pedopornografico di varia natura.

«SONO STATO contattato — afferma l’avvocato Maruzzi — da un avvocato belga al quale si è rivolta la madre delle due bambine al centro del filmino incriminato. L’avvocato belga mi ha chiesto se sono disposto ad assistere la signora come parte civile ed ho accettato costituendomi in udienza per conto della donna e delle due figlie».
Quando venne arrestato, nel suo appartamento di Ferrara, Marzola era pronto per fuggire all’estero e precisamente a Kiev. I poliziotti della squadra mobile sequestrarono dvd, personal computer, centomila euro in contanti, 500 capi di abbigliamento intimo per bambine e una telecamere.

30 gen 2008

Schiavizzata

dal Corriere della sera 30 gennaio 2008

Avvocato di Hollywood faceva dormirela colf nella cuccia del cane. CondannatoLui e la moglie costringevano la cameriera a lavorare 18 ore al giorno e la pagavano 300 dollari al mese

WASHINGTON - Uno dei più noti avvocati di Hollywood, James Jackson, 53 anni, e sua moglie Elizabeth, di 54, sono stati condannati a Los Angeles perché giudicati colpevoli di «schiavitù moderna». La coppia costringeva la cameriera, una maestra di scuola filippina di cui non è stata resa nota l'età, a dormire su un giaciglio per cani, a mangiare cibo avanzato vecchio anche di tre giorni, a lavorare 18 ore al giorno, per una paga che per un intero anno non ha superato i 300 dollari al mese.

LE MINACCE - Al processo è emerso anche che la coppia ha più volte minacciato la filippina dicendola che se avesse parlato l'avrebbero denunciata alle autorità per l'immigrazione e l'avrebbero fatta rimpatriare.

LA CONDANNA - Il giudice di Los Angeles ha trovato in questo caso gli estremi di «schiavitù moderna» e con questa motivazione ha condannato il professionista e sua moglie. L'avvocato dovrà trascorrere 200 ore servendo in una comunità; lei, giudicata la vera responsabile dei maltrattamenti nei confronti della cameriera, è stata condannata a tre anni di carcere. La coppia è stata condannata ad un risarcimento danni nei confronti della cameriera di 825mila dollari.


_____________________________________________________________


dal Manifesto del 27 gennaio 2008

E in Spagna cattolici all'offensiva contro l'aborto
Il dibattito irrompe in campagna elettorale. E le femministe tornano in piazza: «Via i rosari dalle nostre ovaie»
Zapatero cauto Per il premier il tema non va trattato in campagna elettorale: «Dobbiamo cercare il consenso, poi ne parleremo»

Oscar Guisoni-Madrid

L'aborto sembrava un tema già risolto per la società spagnola. Ma l'offensiva di certi settori della destra con un forte peso nella magistratura e della gerarchia ecclesiastica più conservatrice è riuscita a reintrodurlo nel dibattito politico. Mentre il Partido Popular all'opposizione pretende che l'attuale legge non si tocchi, il Partito socialista si ritrova in un forte dibattito interno sull'opportunità di ampliare l'ambito della disposizione in vigore, tirando via l'aborto dal Codice penale e incorporando il cosiddetto «quarto presupposto» che permetterebbe alla donna di allegare anche le ragioni economiche fra quelle previste per l'interruzione legale della maternità. La legislazione spagnola prevede, dal 1985, tre presupposti per l'aborto legale: che la vita della madre sia in pericolo, che la gravidanza sia l'effetto di uno stupro o che si presumano gravi malformazioni fisiche del feto. Nel programma elettorale del 2004 il Psoe, vincitore a sorpresa delle elezioni del 14 marzo, s'impegnava ad ampliare la legge incorporando un quarto presupposto e tirando via l'aborto dal Codice penale e a onorare così una rivendicazione storica del movimento femminista. Però il premier José Luis Rodriguez Zapatero ha ritenuto che si fosse già sfidato abbastanza la chiesa cattolica con la legge sul matrimonio omosessuale e ha deciso di lasciare nel cassetto la sua promessa. Adesso le femministe esigono dal Psoe che torni a incorporare la proposta nel suo programma elettorale in vista del voto fissato per il 9 marzo prossimo.
«Il movimento delle donne - ci spiega Consuelo Catalá, deputata socialista e portavoce alle Cortes della Comunità valenciana della politica per l'eguaglianza di genere - era sicuro che il tema dell'aborto fosse già risolto una volta per tutte e non l'ha considerato quindi prioritario». Però negli ultimi anni i settori più conservatori delle giustizia spagnola hanno cominciato una lenta però costante persecuzione delle cliniche private che praticano l'interruzione della gravidanza, ciò che ha finito per provocare un inedito sciopero di quelle case di cura terminato la settimana scorsa. La situazione si è fatta tanto critica da obbligare l'attuale ministro della sanità, Bernat Soria, a riunirsi con le cliniche per tranquillizzarle e dar loro garanzie di poter portare avanti il loro lavoro senza essere perseguite. «La destra si conferma molto crudele - spiega Catalá - perché non si può andare con la Guardia Civile a interrogare donne che hanno abortito, non importa per quale motivo».
La chiesa cattolica, come c'era da aspettarsi, con il pontificato conservatore di Benedetto XVI ha avviato un'offensiva conservatrice anche sul terreno dell'aborto e si è scatenata quando i socialisti hanno menzionato la possibilità di ampliare la legge in vigore includendovi il «quarto presupposto». Di fronte alla virulenza dell'attacco, le femministe hanno deciso di reagire. Al grido di «saquen los rosarios de nuestros ovarios», «via i rosari dalle nostre ovaie», le donne hanno manifestato mercoledì scorso per le strade di Madrid, Barcellona e altre undici capitali di provincia nella prima mobilitazione in difesa dell'aborto dopo molto tempo.
Intanto il Partito socialista ha concluso venerdì a Madrid il dibattito nella commissione incaricata di preparare il programma con cui il Psoe cercherà di vincere di nuovo le elezioni. «Noi donne spingeremo perché il partito torni a includere la proposta di togliere l'aborto dal Codice penale e di ampliare i casi previsti - afferma Consuelo Catalá - nell'ambito di un programma integrale di salute riproduttiva che dia al tema una cornice legale adeguata». Zapatero ha lasciato fredde, giorni fa, le donne vicine al movimento femminista quando ha suggerito che il tema sarebbe stato trattato nella prossima legislatura e che non sarà parte integrante del programma elettorale socialista. «Dobbiamo cercare il consenso» in vista dell'appuntamento decisivo di marzo, ha detto il primo ministro. Parole che all'orecchio di molte donne sono suonate come «non faremo niente che molesti ancor di più la chiesa».
Però se Zapatero si è mostrato tiepido, il Partido Popular fa molta più paura al movimento femminista. Mariano Rajoy, il candidato presidenziale del Pp, ha affermato di essere contrario all'ampliazione dell'attuale legge e questo significa lasciare l'aborto nel Codice penale consentendo ai giudici conservatori di tenere aperta l'offensiva in corso contro le cliniche e le loro pazienti. «Noi femministe ci eravamo smobilitate di fronte a questo tema - spiega Catalá - perché sembrava che ci fosse una sorta di normalizzazione sociale rispetto all'aborto». Ora questa smobilitazione sta finendo. Nelle manifestazioni si chiede un impegno chiaro del governo per riformare la legge, aprendo le porte anche della sanità pubblica all'aborto e per evitare che le donne e i medici si ritrovino in balìa delle crepe lasciate dalla legge in vigore.

29 gen 2008

Stuprata a 12 anni

dal Corriere della Sera 28 gennaio 2008

Stuprata a 12 anni.La vittima mandata a Milano dalla famiglia per salvarla dagli abusi sessuali
«Mi fidavo di lui»
Ragazzina sudamericana aggredita in casa da un amico della cugina. Manette al responsabile
I genitori l'avevano mandata in Italia per evitare il rischio che in Sudamerica subisse molestie sessuali, se non di più. Neppure a Milano è riuscita a scampare al destino che purtroppo nel suo paese segna la vita di molte ragazzine. A 12 anni è stata violentata più volte da un uomo di cui si fidava, un connazionale che divideva l'appartamento con la cugina che l'ha accolta. L'uomo è stato arrestato dalla Guardia di Finanza mentre stava per scappare in patria. La bambina è arrivata a Milano quasi un anno fa. A casa sua le cose non andavano bene. La famiglia tirava avanti a stento e con i pochi soldi che entravano in casa, mamma e papà non riuscivano a garantire ai figli un'esistenza decorosa che li sottraesse al rischio di essere aggrediti sessualmente per strada, un costume purtroppo diffuso in alcune zone del Sudamerica. Per questo hanno mandato la bambina a stare con la cugina a Milano.

La donna, 45 anni, ha un regolare permesso di soggiorno e lavora. Vive con la madre in un appartamentino in una zona centrale che divide con un connazionale, anche lui 45enne, per risparmiare sull'affitto. «Quell'uomo voleva mettersi con me, ma io non ne ho mai voluto sapere», racconta la donna. La bambina si è subito integrata nella realtà milanese e a settembre ha cominciato ad andare a scuola. Quando le speranze dei suoi genitori lontani sembrava si fossero trasformate in realtà, è arrivata la violenza a squassare tutto. L'uomo respinto dalla cugina aveva messo gli occhi su di lei. Prima ha tentato di corteggiarla, poi è passato alle mani, allungate senza rispetto fino alla violenza. Come accade spesso in questi casi, la ragazzina non ha avuto subito il coraggio di confidarsi, ma quando l'uomo le ha lasciato un bigliettino per confessarle il suo «amore», ha trovato un modo per denunciare. Ha preso il foglietto, l'ha infilato in una tasca del vestito della cugina e ha atteso la reazione della donna. Quando c'è stata, ha detto tutto.

La sudamericana è rimasta choccata. Ha aggredito l'uomo, l'ha picchiato insieme con l'aiuto della madre e l'ha cacciato di casa. Ma non è andata subito a denunciarlo. L'ha fatto, terrorizzata, dopo qualche giorno, quando due brutti ceffi hanno tentato di sfondare la porta di casa: «Fai uscire la ragazzina che la portiamo da lui», urlavano i due. Il Soccorso violenze sessuali della clinica Mangiagalli ha accertato la violenza. L'uomo è stato rintracciato dalla Gdf, pedinato e arrestato poco dopo aver pagato il biglietto dell'aereo che il giorno dopo l'avrebbe fatto sparire in patria. Interrogato dal gip Alessandra Cerreti, l'uomo non ha risposto alle domande. Il suo difensore ha chiesto l'esame del dna convinto che questo scagionerà il suo assistito il quale, agli investigatori, aveva confidato: «Non l'ho violentata. È lei che mi ha sedotto».
Giuseppe Guastella
28 gennaio 2008

Rapita e violentata per un mese

Da rai news24

Napoli 19 gennaio 2008
Napoli, giovane romena rapita e violentata per un mese. Arrestati tre serbi
Per oltre un mese hanno sequestrato e violentato una giovane romena. Il fatto e' accaduto nel campo rom del quartiere Scampia di Napoli. Nel pomeriggio di ieri gli uomini della Sezione criminalita' extracomunitaria della Squadra Mobile partenopea hanno fatto irruzione nel campo nomadi e hanno liberato la ragazza che era stata rapita da una famiglia serba e costretta a subire innumerevoli episodi di violenza sessuale di gruppo, per circa un mese. In manette sono finiti padre, madre e figlio minorenne.

Secondo quanto accertato dalla polizia, la donna era stata rapita, la vigilia di Natale, nella zona del quartiere Ponticelli a Napoli da un diciassettenne, aiutato dai suoi genitori e condotta in un campo che sorge a Scampia.

Il giovane voleva, a tutti i costi, contrarre matrimonio con la ragazza che, peraltro, e' gia' sposata ed e' madre di tre bambini. Alla vittima, secondo la polizia, sarebbe stato impedito di avere qualsiasi contatto con l'esterno ed era guardata a vista. Durante la segregazione, durata oltre un mese, la donna - secondo quanto emerge dalle indagini - era stata costretta a subire numerosi episodi di violenza sessuale anche in presenza dei genitori del rapitore.

La ragazza, che e' stata costantemente malmenata e minacciata, approfittando di una disattenzione dei suoi carcerieri, e' riuscita a contattare un familiare che ha allertato la polizia. I presunti sequestratori - padre, madre e figlio - rispettivamente di 44, 37 e 17 anni, sono stati sottoposti a fermo di indiziati di delitto per i reati di sequestro di persona, violenza sessuale di gruppo, lesioni personali e minaccia ed accompagnati nelle case circondariali di Poggioreale e Pozzuoli, e nel Centro di prima accoglienza del tribunale dei minorenni ai Colli Aminei.

NO VAT




Segregata e stuprata

Bergamo, 28 gennaio 2008 - dal Resto del Carlino

Segregata e stuprata a turno
da tre extracomunitari

La vittima, una 40enne, aveva conosciuto uno dei suoi aggressori in discoteca. Dopo averlo seguito nel suo appartamento è stata violentata, a turno, dall'uomo e da altri due complici. Due magrebini sono stati arrestati, il terzo è ancora latitante

Picchiata, costretta a bere un'ingente quantità di bevande alcoliche e stuprata a turno da tre extracomunitari. La vittima, una donna bergamasca di 40 anni.
I fatti risalgono a sabato sera. Dopo aver conosciuto uno dei tre magrebini in discoteca, la donna è stata convinta a seguirlo in un appartamento nella bassa bergamasca. Dopo aver immobilizzato con la forza la 40enne, l'uomo, insieme agli altri due complici, ha abusato di lei.Quando la donna è stata liberata ha chiesto aiuto ed è stata portata in ospedale, dove è arrivata in stato di shock e con diversi lividi sul corpo. I sanitari l'hanno medicata e dimessa. La sua testimonianza ha permesso ai carabinieri della compagnia di Treviglio di identificare e arrestare due dei tre aggressori, due magrebini di 25-30 anni, con l'accusa di violenza sessuale di gruppo. Le indagini proseguono per rintracciare il terzo complice, ancora latitante.

un articolo interessante sulle donne sole uscito su Velvet:

"QUANDO LA DONNA SI SCOPRì SINGLE"

28 gen 2008

Sfregiata dal marito

da Repubblica.it


(28 gennaio 2008)

La donna, 25 anni, picchiata e abbandonata nella notte per strada
Ricercato il consorte, 26 anni marocchino, già noto alle forze dell'ordine

Sfregiata con l'acido dal marito
giovane trentina grave in ospedale


TRENTO - Prima picchiata brutalmente e poi sfigurata al viso e alle mani con l'acido muriatico. Una ragazza italiana di circa 25 anni, ora ricoverata con lesioni gravi, è stata aggredita dal marito che l'ha poi abbandonata per strada. La giovane trentina, residente nella zona sud della città, dolorante e in stato di choc, è stata trovata da un automobilista nella notte in una stradina vicina alla statale della Valsugana, a pochi chilometri da Trento.

La donna, che è stata raggiunta al volto dall'acido e ha tentato di proteggersi con le mani, ha ricevuto i primi soccorsi all'ospedale Santa Chiara di Trento e poi trasferita per le sue gravi condizioni al Centro grandi ustionati dell'ospedale di Verona dove ora si trova in prognosi riservata. Il marito, un marocchino di 26 anni, già noto alle forze dell'ordine, con precedenti per reati contro patrimonio e per droga, latitante già dal novembre del 2007, è ora ricercato anche per lesioni gravissime alla consorte.

Erano da poco passate le due quando un automobilista di passaggio nei pressi del Cirè di Pergine ha notato la giovane mentre vagava lungo la strada: aveva mani e volto segnati e non riusciva a spiegare cosa le fosse accaduto. Secondo una prima, sommaria ricostruzione dei fatti, l'aggressione sarebbe avvenuta proprio al Cirè, nei pressi del distributore dell'Agip, e si tratta di aggressione molto presumibilmente premeditata, dal momento che l'acido muriatico non è liquido che si tiene in automobile. Resta da capire che cosa abbia scatenato una furia così bestiale. Tutte risposte che potrà fornire la donna, non appena sarà in grado di poter essere interrogata.





_______________________________________________________________

(21 novembre 2007)

In dodici mesi un milione di donne ha subito violenze
Per le più giovani ancora oggi è questa la prima causa di morte

Violenza sulle donne
La strage delle innocenti

L'ultimo stupro ieri, a Pordenone, in pieno centro: lei ghanese, lui italiano


Violenza sulle donne
La strage delle innocenti" width="280">

Un manifesto contro la violenza

di ANNA BANDETTINI
MILANO - I loro nomi, le loro storie restano come memorie, la prova di una verità odiosa, crudele: Hina accoltellata a Brescia dal padre, Vjosa uccisa dal marito a Reggio Emilia, Paola violentata a Torre del Lago, Sara colpita a morte da un amico a Torino... L'ultima è stata resa nota ieri: una ventenne originaria del Ghana, costretta ad un rapporto sessuale in pieno centro a Pordenone.

In Italia, negli ultimi dodici mesi, un milione di donne ha subito violenza, fisica o sessuale. Solo nei primi sei mesi del 2007 ne sono state uccise 62, 141 sono state oggetto di tentato omicidio, 1805 sono state abusate, 10.383 sono state vittime di pugni, botte, bruciature, ossa rotte. Leggevamo che le donne subiscono violenza nei luoghi di guerra, nei paesi dove c'è odio razziale, dove c'è povertà, ignoranza, non da noi.

Eccola la realtà: in Italia più di 6 milioni e mezzo di donne ha subito una volta nella vita una forma di violenza fisica o sessuale, ci dicono i dati Istat e del Viminale che riportano un altro dato avvilente.
Le vittime - soprattutto tra i 25 e i 40 anni - sono in numero maggiore donne laureate e diplomate, dirigenti e imprenditrici, donne che hanno pagato con un sopruso la loro emancipazione culturale, economica, la loro autonomia e libertà. Da noi la violenza è la prima causa di morte o invalidità permanente delle donne tra i 14 e i 50 anni. Più del cancro. Più degli incidenti stradali. Una piaga sociale, come le morti sul lavoro e la mafia. Ogni giorno, da Bolzano a Catania, sette donne sono prese a botte, oppure sono oggetto di ingiurie o subiscono abusi. Il 22 per cento in più rispetto all'anno scorso, secondo l'allarme lanciato lo scorso giugno dal ministro per le Pari Opportunità, Barbara Pollastrini, firmataria di un disegno di legge, il primo in Italia specificatamente su questo reato ora all'esame in commissione Giustizia.

"È un femminicidio", accusano i movimenti femminili, "violenza maschile contro le donne": così sarà anche scritto nello striscione d'apertura del corteo a Roma di sabato 24, vigilia della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne istituita dall'Onu, una manifestazione nazionale che ha trovato l'adesione di centinaia di associazioni impegnate da anni a denunciare una realtà spietata che getta un'ombra inquietante sul tessuto delle relazioni uomo-donna.

Sì, perché il pericolo per le donne è la strada, la notte, ma lo è molto di più, la normalità. Se nel consolante immaginario collettivo la violenza è quella del bruto appostato nella strada buia, le statistiche ci rimandano a una verità molto più brutale: che la violenza sta in casa, nella coppia, nella famiglia, solida o dissestata, borghese o povera, "si confonde con gli affetti, si annida là dove il potere maschile è sempre stato considerato naturale", come spiega Lea Melandri, saggista e femminista.

L'indagine Istat del 2006, denuncia che il 62 per cento delle donne è maltrattata dal partner o da persona conosciuta, che diventa il 68,3 per cento nei casi di violenza sessuale, e il 69,7 per cento per lo stupro. "Da anni ripetiamo che è la famiglia il luogo più pericoloso per le donne. È lì che subiscono violenza di ogni tipo fino a perdere la vita", denuncia "Nondasola", la Casa delle donne di Reggio Emilia a cui si era rivolta Vjosa uccisa dal marito da cui aveva deciso di separarsi. "Da noi partner e persone conosciute sono i colpevoli nel 90 per cento delle violenze che vediamo. E purtroppo c'è un aumento", dice Marisa Guarnieri presidente della Casa delle donne maltrattate di Milano. "All'interno delle mura domestiche la violenza ha spesso le forme di autentici annientamenti - spiega Marina Pasqua, avvocato, impegnata nel centro antiviolenza di Cosenza, una media di 800 telefonate di denuncia l'anno - Si comincia isolando la donna dal contesto amicale, poi proibendo l'uso del telefono, poi si passa alle minacce e così via in una escalation che non ha fine".

In Italia, l'indagine Istat ha contato 2 milioni e 77mila casi di questi comportamenti persecutori, stalking come viene chiamato dal termine inglese, uno sfinimento quotidiano che finisce per corrodere resistenza, difesa, voglia di vivere. "Nella nostra esperienza si comincia con lo stalking e si finisce con un omicidio", accusa Marisa Guarnieri. Per questo le donne dei centri antiviolenza hanno visto positivamente l'approvazione, lo scorso 14 novembre in Commissione Giustizia, del testo base sui reati di stalking e omofobia.

Sanzionare penalmente lo stalking, significa, tanto per cominciare, riconoscerlo. "Molte donne vengono qui da noi malmenate o peggio e parlano di disavventura. Ragazze che dicono "me la sono cercata", donne sposate che si scusano: "lui è sempre stato nervoso"...", racconta Daniela Fantini, ginecologa del Soccorso Violenza Sessuale di Milano, nato undici anni fa per iniziativa di Alessandra Kusterman all'interno della clinica Mangiagalli di Milano. È in posti come questo, dove mediamente arrivano cinque casi a settimana, che diventa evidente un altro dato angoscioso: come intrappolate nel loro dolore, il 96% delle donne non denuncia la violenza subita, forse per paura. Forse perché non si denuncia chi si ha amato, forse perché non si hanno le parole per dirlo.

La manifestazione di sabato a Roma vuole spezzare proprio questo silenzio. "Una occasione per prendere parola nello spazio pubblico", come dice Monica Pepe del comitato "controviolenzadonne" che vorrebbe un corteo di sole donne. E Lea Melandri: "Manifestiamo per dire che la violenza non è un problema di pubblica sicurezza, né un crimine di altre culture da reprimere con rimpatri forzati, e che per vincerla va fatta un'azione a largo raggio". Va fatta una legge, concordano tutti. "Speriamo di arrivarci in tempi brevi - promette Alfonsina Rinaldi del ministero per le Pari Opportunità - Oggi abbiamo finalmente le risorse per lanciare l'osservatorio sulla violenza e in Finanziaria ci sono 20 milioni di euro per redarre il piano antiviolenza".

"Serve una legge che non cerchi scorciatoie securitarie ma punti a snidare la cultura che produce la violenza - dice Assunta Sarlo tra le fondatrici del movimento "Usciamo dal silenzio" - Una legge come quella spagnola, la prima che il governo Zapatero ha voluto perché riguarda la più brutale delle diseguaglianze causata dal fatto che gli aggressori non riconoscono alle donne autonomia, responsabilità e capacità di scelta. Ecco il salto culturale. Chiediamo che anche da noi il tema della violenza sia assunto al primo punto nell'agenda politica dei governi.

Chiediamo un provvedimento che dia risorse ai centri antiviolenza e sistemi di controllo della pubblicità e dei media, cattivi maestri nel perpetuare stereotipi che impongono sulle donne il modello "fedele e sexy". E chiediamo agli uomini di starci accanto, di fare battaglia con noi".

Qualcuno si è già mosso. Gli uomini dell'associazione "Maschileplurale", per esempio, che aderiscono alla manifestazione romana. "Sì, gli uomini devono farsene carico. La violenza è un problema loro, non delle donne - dice Clara Jourdan, della "Libreria delle Donne" di Milano, storico luogo del femminismo italiano - Sarebbe ora che cominciassero a interrogarsi sulla sessualità e sul perché dei loro comportamenti violenti. E riconoscere l'altro, il maschile, potrebbe essere utile anche alle donne". Nel caso, a fuggire per tempo.

10 gen 2008

scuola della nonviolenza

incontro alla Scuola della Nonviolenza:
per il ciclo Addio alle armi,
presso la sede AIAS, g.c., via Cassoli 25/i - Ferrara,
Venerdì 11 gennaio ore 21, L’antimilitarismo preso sul serio
con Mao Valpiana, Direttore di Azione Nonviolenta.

Sezioni