Siamo un gruppo di donne: amiche, colleghe, mamme... Da tempo mettiamo le nostre esperienze di solidarietà femminile in comune, ne parliamo, riflettiamo, e pensiamo che molte donne costruiscano, nella vita di tutti i giorni, una silenziosa ma potente rete di affetti, di aiuti, di sostegno. Alcune di noi vengono da altre esperienze o vi sono tuttora coinvolte (Comitato per la pace Spartacus, Collettivo Echidna, Mamme per la Pace...), altre si sono semplicente unite confluendo il loro apporto personale di donne attente alla realtà che ci circonda e con la volontà di "uscire dal silenzio". Abbiamo pensato di costituire un gruppo, il Collettivo Pacha Mama, per cercare di essere un punto di riferimento e di scambio di esperienze per chiunque si senta sensibile alla lotta e alla solidarietà femminili.

AVVISO


Ciao a tutt*, è stata ripristinata la mail vecchia:

pachamama.ferrara@hotmail.it

ci auguriamo che non venga bloccata mai più

sezioni

30 set 2008

INTERNAZIONALE

il 4 e 5 ottobre 2008 il Collettivo Pachamama partecipa col comitato per la pace Spartacus al festival di Internazionale.
in via Porta Reno, sotto la torre dell'orologio, distribuiremo materiale inforativo sulla violenza alle donne e avremo a disposizione alcune copie del dvd NEANCHE CON UN FIORE, realizzato da donna.tv
Vi aspettiamo!

28 set 2008

Rassegna

Un gruppo di taliban ha fatto fuoco davanti a casa sua. Ferito gravemente un figlio
Dirigeva il Dipartimento per i reati sessuali nella terra del fondamentalismo religioso
Kandahar, uccisa la poliziotta delle donne
"Era la più famosa di tutto l'Afghanistan"

KANDAHAR - Era la prima donna divenuta poliziotto a Kandahar dopo la caduta dei taliban. L'hanno uccisa stamane, davanti alla porta di casa. Stava andando a lavorare. E' rimasto ferito gravemente anche uno dei suoi figli. Malalai Kakar era la poliziotta più famosa dell'Afghanistan, un simbolo del riscatto femminile nella terra che fu culla del movimento fondamentalista religioso. Aveva rinunciato a portare il burqa due anni fa e i taliban l'avevano minacciata più volte.

Ma lei non aveva mai chinato la testa: "Era una donna molto coraggiosa", dicono adesso i suoi colleghi. Dirigeva il dipartimento reati contro le donne nella roccaforte dei taliban e sapeva di essere nel mirino dei fondamentalisti. "Girava sempre con la pistola - racconta un agente del suo dipartimento - e sempre insieme a un uomo della sua famiglia".

Ma stamane non le è servito essere armata. Le hanno sparato alla testa ed è morta sul colpo. Aveva quarant'anni ed era madre di sei figli. Suo padre e suo fratello erano poliziotti come lei. Nelle forze dell'ordine era entrata già alla fine degli anni Ottanta, ma poi l'ascesa dei taliban l'aveva costretta a fuggire. Era rientrata alla caduta del loro regime nel 2001 e aveva assunto il comando del Dipartimento con il grado di capitano.

I taliban hanno lanciato una vera e propria guerriglia mortale da quando la coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti li ha cacciati dal potere. Malgrado la presenza di 70mila soldati delle forze multinazionali, da due anni le violenze sono aumentate di intensità. Negli ultimi sei mesi i fondamentalisti hanno ucciso 720 agenti. Prima di Malalai Kakar, un'altra donna poliziotto è stata assassinata in Afghanistan nel giugno scorso. Anche allora, la polizia locale di Herat aveva accusato dell'omicidio i taliban.
(la repubblica 28 settembre 2008)


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la forza senza cultura

è auspicabile che i presidenti della Camera e del Senato siano lesti nel cogliere gli scricchiolii della pacifica convivenza e promuovano un osservatorio parlamentare sul razzismo che ormai tracima dalla greve licenza verbale in troppi episodi di violenza fisica. Lo stesso governo della "tolleranza zero" ha interesse a far suo un allarme che non riguarda più solo il diffondersi dell' inciviltà, ma anche l' ordine pubblico.Episodi come il pestaggio del giovane Samuel Bonsu Foster a Parma o l' umiliazione inflitta alla signora Amina Sheikh Said all' aeroporto di Ciampino - quali che siano gli esiti delle indagini - evidenziano un' impreparazione culturale di settori della forza pubblica nella pur necessaria opera di vigilanza e prevenzione anticrimine. Problemi simili esistono nelle polizie di tutto il mondo, il cui aggiornamento professionale deve tenere conto delle mutate condizioni ambientali. Ma ancor più inquieta l' ormai lunga collezione di aggressioni, squadristiche o individuali, che si tratti di pogrom incendiari contro gli abitanti delle baraccopoli o di sprangate sulla testa del malcapitato di turno. Tale esasperazione è stata spesso giustificata dagli imprenditori politici della paura come legittima furia popolare. Minimizzata tributando demagogicamente lo status di vittime ai "difensori del territorio". Fino a quando c' è scappato un morto: Abdoul Salam Guiebre. Ma nella stessa città di Milano la guerra tra poveri ha riproposto il bis martedì al mercato di via Archimede. Stavolta non per un pacco di biscotti: Ravan Ngon è stato pestato con una mazza da baseball dal venditore di frutta e verdura alla cui bancarella si era avvicinato troppo con la sua merce abusiva. Lo stesso giorno, nella borgata romana di Tor Bella Monaca, una banda di teppisti adolescenti pestava, così, a casaccio, Tong Hongshen, colpevole solo di aspettare l' autobus. Abdoul Salam Guiebre, Tong Hongshen, Ravan Ngon: nomi difficili da pronunciare, figure giuridiche differenti (un cittadino italiano, un immigrato con permesso di soggiorno, un altro che vive qui da cinque anni senza essere riuscito a regolarizzarsi), ma innanzitutto persone. Nostri simili che stentiamo a riconoscere come tali, di cui preferiamo ignorare le vicissitudini e i diritti. Nelle interviste trasmesse da Sandro Ruotolo a "Annozero", abbiamo udito i parenti dei camorristi accusati dell' eccidio di Castel Volturno manifestare indignazione: la polizia si muove "solo quando i morti sono neri"! Che si trattasse di una vera e propria strage, sei omicidi, passava in second' ordine. Temo che quell' infame, velenoso rovesciamento delle parti tra vittime e carnefici, rischi di diventare in Italia senso comune, se le istituzioni non interverranno per tempo. Di certo non aiutano i pubblici elogi di Maroni al vicesindaco di Treviso, che sul suo stesso palco si riprometteva di cacciare i musulmani "a pregare e pisciare nel deserto". Come se non fossero già centinaia di migliaia i nostri concittadini di fede islamica. Non aiutano i giornali filogovernativi che attribuiscono all' intero popolo zingaro una congenita propensione al furto. Non aiuta il cortocircuito semantico che equipara il minaccioso stigma di "clandestino" a un destino criminale. La regressione culturale di cui si è detto preoccupato anche il presidente dei vescovi italiani, Angelo Bagnasco, ha tra i suoi responsabili gli spacciatori di stereotipi colpevolizzanti che nel frattempo promettono l' impossibile: un paese in cui, grazie alla mano forte delle nuove autorità, i cittadini siano esentati dalla fatica della convivenza. Così come si è rivelato fallace - inadeguato all' offensiva reazionaria - l' espediente retorico di una sicurezza che non sia "né di destra né di sinistra"; altrettanto insulso rischia di apparire oggi il richiamo al binomio "diritti e doveri" degli immigrati. Giusto, certo. Ma astratto, fin tanto che non verrà indicato loro un percorso praticabile d' integrazione e cittadinanza. O preferiamo forse che si organizzino separatamente per farci sentire la loro protesta, esasperando una contrapposizione separatista fino allo scontro con le istituzioni? Tra i sintomi della regressione culturale c' è anche la miopia con cui le forze democratiche del paese, a cominciare dal Pd, finora hanno ignorato la necessità di dare rappresentanza politica agli immigrati. Sarà forse poco redditizio elettoralmente, ma è decisivo per il futuro della nostra società che si affermino leadership responsabili, organizzazioni accoglienti, punti di riferimento alternativi ai capiclan e ai propagandisti dell' integralismo religioso. Persone che hanno avuto l' intraprendenza di emigrare per sfuggire a una sorte infelice, e che spesso hanno conseguito traguardi culturali e professionali significativi dopo essere approdati senza un soldo sulle nostre coste, possono contribuire anche al rinnovamento della politica italiana, bisognosa di ritrovare idealità e speranza. - GAD LERNER

26 set 2008

No agli scambi politici sul corpo delle donne!

La Regione Emilia Romagna sta per approvare le "Linee d'indirizzo per i piani di zona per la salute ed il benessere sociale per una piena applicazione della 194/78".
Le donne non sono state ascoltate ma hanno molto da dire:
L'aborto è una libera scelta e non una colpa!
Quando entriamo in un Consultorio e/o in ospedale vogliamo essere accolte da un medico e non da un'assistente sociale.
Quando abortiamo abbiamo bisogno di cure mediche e non di indagini o giudizi sulla nostra vita! Siamo noi a scegliere di chiedere aiuto se ne abbiamo bisogno!

La sanità deve essere pubblica e laica.
L'associazionismo e i privati sociali possono integrarsi, ma con modalità trasparenti e regole chiare.
Non devono sostituirsi nè devono essere invasivi.
Devono restare fuori dai consultori.
Le associazioni che intendono collaborare a una "piena appilcazione" della Legge 194 non possono essere contrarie all'aborto e che perciò non possono avere nello statuto finalità contro la 194 e contro la libertà di scelta procreativa delle donne.
La modalità con cui una donna vuole abortire (aborto chirurgico o RU486) dipende solo dalla sua decisione!
L'obiezione di coscienza è lo strumento che sta affossando la L194, non possiamo permetterlo. Dove finisce il diritto dei camici bianchi e inizia quello delle donne?
La prevenzione non è dussuasione ma contraccezione! Conoscere la nostra sessualità aiuta tutte e tutti a scegliere in libertà.

Il numero di donne italiane e migranti che scelgono l'IVG è in diminuzione. Non c'è alcuna emergenza rispetto all'aborto, ma rispetto al razzismo sì!
No allo stigma sul corpo delle donne di qialsiasi nazionalità.

Abbiamo chiesto di essere ascoltate dalle istituzioni ma stiamo ancora
aspettando!

Rete delle donne di Bologna

retedonnebologna@women.it

17 set 2008

ALLA MINISTRA CARFAGNA

Dunque, ci risiamo. Per togliere di mezzo la prostituzione l’essenziale, secondo la Ministra Carfagna, è togliere dalle strade clienti e prostitute. La stessa ricetta “inventata” con modalità bipartisan per sottrarre al nostro sguardo di persone “per bene” lavavetri, nomadi, mendicanti, extracomunitari. Se per i nomadi si scoprono sempre nuovi ponti sotto cui accatastarli, purché siano oltre la cintura delle città, fuori le mura, oltre i raccordi anulari; se per gli immigrati clandestini, e anche non, si sono inventate aberrazioni del diritto come i cosiddetti Centri di Permanenza Temporanea; se i mendicanti vengono idealmente sospinti verso novelli ospizi di mendicità che, se esistessero, costituirebbero l’unica alternativa al chiedere l’elemosina sui piazzali delle chiese nonché sui marciapiedi di recente interdetti da qualche Sindaco; per liberare le strade dalle prostitute si pensa alternativamente a quartieri a luci rosse o a compiacenti e anonimi appartamenti. Che, certo, nel pensiero della Ministra e dei suoi collaboratori, non potrebbero mai essere collocati nei quartieri di lusso ma di sicuro in qualche casermone di periferia, i cui abitanti sono abituati a queste come ad altre “brutture”. Per le prostitute si immagina insomma qualcosa che ha a che fare con la stessa filosofia che ha mosso un’altra geniale pensata di una seconda Ministra di questo governo, l’ineffabile Gelmini: il grembiulino sotto cui nascondere le differenze sociali all’interno delle scuole è fatto, a noi pare, della stessa materia delle multe e dei provvedimenti repressivi per clienti e prostitute: una materia a cui non sappiamo dare altro nome se non quello di ipocrisia, l’ipocrisia pelosa e feroce che induce le cosiddette persone “per bene” a nascondere la polvere sotto il tappeto. Senonché la “polvere” che la prostituzione rappresenta è difficilmente eliminabile, attraverso qualche “trucchetto”, dalle case delle persone “per bene”: è lì infatti che vivono di norma i clienti, quelli che intralciano il traffico bloccando l’auto per chiedere quanto, quelli che lasciano tracce visibilissime del loro passaggio per prati, androni e cortili, quelli che spesso vestono gli abiti dei censori davanti a mogli, madri, figlie, sorelle (nella miglior tradizione italica) e se ne svestono allegramente la notte, ma anche il giorno, quando si mettono in caccia di donne, bambine, ragazzini, trans. Ci sono al momento pochi uomini disposti a riflettere su questo lato della questione, cioè su se stessi e sulla propria sessualità. Noi contiamo che diventino sempre di più, che sappiano mettersi in discussione, guardare dentro di sé, trovare nella relazione (politica) tra loro il bandolo di una matassa che riconduce ineluttabilmente al loro rapporto con il proprio corpo, con la sessualità, con il corpo delle donne e dell’altro. È attraverso questo processo che possiamo sperare, un giorno, di veder ridotte le violenze sulle donne e sui bambini, la prostituzione, l’oppressione e lo sfruttamento del corpo femminile, perfino le guerre e le torture, che si fondano sulla liceità della soppressione fisica dell’altro. Non certo attraverso la repressione. O l’occultamento. Non vogliamo ricordare alla ministra Carfagna che usare il proprio corpo per calendari senza veli è un’altra forma di mercimonio: è stata una sua scelta, e - noi che siamo vecchie femministe a cui sta a cuore prima di tutto la libertà femminile - come tale la rispettiamo. Ci sentiamo però di pretendere che non ricambi quel rispetto con l’ipocrisia e la finzione, e faccia ciò per cui, presumibilmente, è stata nominata nel governo. Faccia politica e non frettolose pulizie pasquali. Perché è in questo che sta la differenza tra la repressione e la capacità di affrontare una questione complessa come quella della prostituzione e immaginare qualche soluzione. Nella politica. E, ci si lasci dire, nella politica delle donne. Quella che ci consente di denunciare il racket che sta alle spalle del fenomeno prostituzione (e che non sparirà semplicemente spostandola dalle strade alle case) e contemporaneamente di chiedere giustizia per le vittime (che non sono né i clienti, né le loro mogli, né gli abitanti delle strade interessate, ma le persone che si prostituiscono); quella che ci consente di vedere, anche, gli spazi di libertà che si possono aprire se si ridà la parola ai soggetti che l’esperienza della prostituzione la vivono e la praticano: e che, ancora una volta, non sono né i clienti, né le loro mogli, né gli abitanti delle strade interessate, ma le persone che si prostituiscono.

CENTRO DOCUMENTAZIONE DONNA FERRARA

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LETTERA DI MARINO BUZZI

E ci risiamo con le azioni punitive e con il proibizionismo che, sino ad ora, non ha mai dato un risultato utile. La cosa che mi rattrista di più è che certi italiani credano veramente che l'unica strada per ottenere sicurezza sia data dalla repressione. Abbiamo, in vari ministeri, persone che non hanno la minima idea di cosa significhi rivestire un ruolo pubblico, c'è un'ignoranza istituzionale senza precedenti. Capita così che la signorina Mara Carfagna, assessora alle Pari Opportunità con un curriculum di tutto rispetto (sesta a miss Italia, protagonista de La domenica del villaggio, conduttrice insieme a Magalli di Piazza Grande oltre alle varie partecipazioni a programmi del livello di I cervelloni e Domenica In) che nella vita non si è fatta mancare nulla (neppure un calendario senza veli) ha deciso di presentare, con grande consenso, una legge sulla prostituzione che colpisce, prima di tutto, proprio le vittime. Come uomo sono consapevole del triste ruolo del genere maschile nei confronti della prostituzione. L'uomo nasconde i propri beceri desideri con le proprie mogli (che devono rimanere “sante”) e va a ricercare uno sterile piacere con le prostitute (o con le trans). Non è neppure il desiderio di fare l'amore, è la necessità di dominare un altro essere umano. L'uomo paga per ottenere ciò che vuole, è un suo diritto, un diritto di maschio che la cultura cattolica ci ha inculcato sin da bambini. Io provo ribrezzo per questi uomini che non sono di certo pochi in questo paese bigotto e oscurantista, provo ribrezzo soprattutto perché pur di ottenere ciò che vogliono sono pronti a calpestare i diritti delle donne con cui vanno. Non si pongono il problema se queste donne sono obbligate o meno a prostituirsi, si nascondono dietro la scusa del “è una necessità”. E io dico PALLE! Il sesso non è una necessità! Il sesso è condivisione, è scambio, è piacere. Non importa che sia amore, basta che ci sia consapevolezza, rispetto e volere da entrambe le parti. Mi chiedo come questi uomini non si sentano piccoli e viscidi, qualcuno arriva addirittura a dire che lo fa per rilassarsi. Ma che uomo è? Però c'è un ma.... Un MA grande come una casa. Punire le ragazze che si prostituiscono non è giusto. Questa legge è una legge ipocrita il cui unico intento è quello di nascondere la prostituzione. Lo sfruttamento può avvenire anche per coloro che si prostituiscono in casa. E visto che in questo senso la legge non è chiara ci troviamo con l'ennesima legge truffa che ci fa credere di aver risolto il problema senza invece neppure averlo affrontato. Insomma le prostitute (e i clienti) vengono mandati in carcere e multati, le donne straniere rimandate al loro paese. Ora mi chiedo: “Come si farà, nel caso la lucciola e il cliente non vengano trovati in flagrante, a dimostrare che l'uomo stava abbordando la prostituta? Che effetto avrà questa legge sulla giustizia? Quanto ci costerà in termini di denaro sostenere i processi a queste persone? E come faremo, con le carceri al collasso, a trovare nuovi spazi? Ma come, vogliono mandare a spasso i delinquenti con un bracciale nuovo, nuovo e poi mettono le prostitute in carcere? E ancora: “Se la malavita organizzata si organizzerà facendo prostituire le proprie vittime in casa, il problema sicurezza si sposterà dalle strade ai condomini?” E come faranno i bravi italiani, così assetati di sicurezza, ad uscire di casa quando sul pianerottolo avranno prostitute, magnaccia e clienti? Insomma come può una donna che ha venduto l'immagine del proprio corpo fare una legge così violenta contro coloro che, per disperazione o per necessità, sono costrette a vendere il proprio corpo? Non sarebbe meglio agire sull'incultura maschile e machista? Non sarebbe meglio cominciare a dispensare sin dalle scuole elementari un'educazione sessuale, sentimentale e della differenza? (Difficile con il ritorno al maestro unico voluto dalla Gelmini). Non sarebbe meglio cominciare ad aiutare veramente le donne in difficoltà invece di punirle ancora? E i prossimi chi saranno? Chi sarà linciato per aver offeso il pubblico pudore? I barboni? Gli accattoni? I gay e le lesbiche? Il brutto presentimento che ho è che per le prime settimane assisteremo alla caccia alla cattiva prostituta o alla cattiva trans, le telecamere dei vari telegiornali immortaleranno l'avvenimento e poi tutto finirà, come al solito, nel dimenticatoio. Del resto c'è da stare tranquilli visto che Berlusconi, sorvolando su tutti i problemi del nostro paese, ha detto che siamo primi in Europa per detenzione di cellulari. Ah be', allora c'è da esserne orgogliosi. Signori, siamo seri. Interveniamo contro il racket della prostituzione, colpiamo i veri colpevoli e non le prostitute. Aiutiamo le ragazze che ne vogliono uscire e permettiamo alle altre di fare ciò che vogliono con il proprio corpo. Diamo loro supporto medico e permettiamo a queste persone di uscire dalle tenebre e di fare ciò che vogliono fare con dignità e serenità nel massimo delle tutele possibili. Marino Buzzi


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LETTERA DI GIOVANNA PINEDA

L'assessora alle pari opportunità Bruna Giovanna Pineda del Comune di Rovigo, critica aspramente la proposta di legge della ministra Carfagna: criminalizzare le prostitute è un'azione inutile quanto ingiusta. Non è certo persegutandone le vittime che si va ha debellare il fenomeno sempre così diffuso di tratta e sfruttamento sessuale. A farne le spese sono sempre le donne e i minori, i più deboli e indifesi, che purtroppo per assurdo vengono a subire ciò che invece spetterebbe ai loro sfruttatori e carnefici. Forse i più ignorano, e penso anche la Ministra Carfagna che spesso dichiara di voler tutelare i minori e gli indifesi, che un rimpatrio per una donna o un minore vittima di tratta o di sfruttamento sessuale per molti paesi del terzo mondo significa carcere, torture o morte. Inoltre tale azione repressiva andrà a colpire il fenomeno su strade e piazze, mentre sappiamo ormai per certo che è al chiuso, in molti privè e locali, che ormai si esercita la prostituzione, e la nostra provincia ne detiene il primato nazionale. Questa legge sembra quasi un invito ai night clubs a continuare ad agire indisturbati, tanto occhio ministra non vede, legge non duole. E' assurdo!!! Questo però, bisogna darne atto alla Ministra Carfagna, è un agire in coerenza e continuità con il resto del governo e dell'attuale maggioranza, far finta di risolvere i problemi...facendoli sparire sotto il tappeto. Ma prima o poi il tappeto sarà mangiato dai tarli e non coprirà più nulla. E questa risposta immediata, effimera e apparente che conquista il consenso veloce e populista, come l'aver mandato l'esercito nelle città per la sicurezza, proporre il nucleare per la crisi energetica e additare come capro espiatorio di tutti i problemi dalla nazione lo stranero e il diverso. Di seguito riporto il commeto del gruppo Abele, associazione che da tempo cerca di stare vicino agli ultimi e ai più deboli, ricordando che non è detto che chi scrive e chi legge vi sia escluso per sempre.


12.09.2008
Articolo di: Gruppo Abele

Multe e carcere per clienti e prostitute.
Che senso ha? Il Gruppo Abele dice no al disegno di legge Maroni-Carfagna: "E' assolutamente controproducente. La strada è pericolosa, è vero; ma non serve a niente punire le prostitute".Non risponde alle evidenze scientifiche e ai dati fino ad oggi raccolti affermare che “è soprattutto in luogo pubblico che si perpetrano le più gravi fattispecie criminose finalizzate allo sfruttamento sessuale”. È invece il luogo chiuso, l’appartamento, la casa isolata, il circolo privato dove si può violare meglio chi è fragile e sfruttato. E’ al chiuso che ci sono più minorenni e dove le donne sono di fatto più indifese per l’impossibilità di ricorrere a qualsiasi aiuto.
La strada è pericolosa, è vero. In particolare in quei luoghi isolati (boschi e periferie) dove spesso vengono spostate le donne. Ma è raggiungibile dalle forze dell’ordine e soprattutto da chi può dare aiuto, fare prevenzione sanitaria, informare che uscire dalla prostituzione forzata si può.
Rendere punibile la prostituzione in strada per le prostitute e per i clienti è assolutamente controproducente.
Chi vuol fare questo si deve prendere la responsabilità di:
- mandare nel sommerso le donne più deboli, di cui anche minorenni;
- favorire la diffusione delle infezioni sessualmente trasmissibili (sifilide, gonorrea, hiv), perché di fatto si impediscono gli interventi di conoscenza e prevenzione che sono possibili solo attraverso i contatti di strada;
- togliere alle forze dell’ordine e alla magistratura uno dei principali strumenti per contrastare le organizzazioni criminali, così come ha favorito fino ad oggi l’articolo 18 del TU sull’immigrazione;
- generare pesanti ricadute anche per ciò che concerne i clienti, sui quali va comunque fatta una seria riflessione ampia ed approfondita in termini di educazione al rapporto tra i generi. Non vanno dimenticati i suicidi conseguenti ad alcuni interventi repressivi verificatisi nel recente passato.
È evidente che il disagio che la prostituzione e la tratta creano in alcune zone della città debba essere affrontato e gestito, ma senza scorciatoie illusorie o semplicemente spostando il problema da un luogo all’altro.
In questo senso il Gruppo Abele, in collaborazione con molte altre realtà del pubblico e del privato, ha attivato un progetto rivolto alle amministrazioni di tutta la Regione Piemonte con l’obiettivo di aiutare a meglio gestire i fenomeni sul loro territorio e a contrastare efficacemente il fenomeno della tratta.

Associazione Gruppo Abele

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