l caso dell'interruzione terapeutica della gravidanza conclusa con l'intervento della polizia
Il Guardasigilli incarica gli ispettori del ministero. Relazione del Pg e della Prefettura
Aborto a Napoli, nuove indagini
"Le ricostruzioni sono discordanti"
Livia Turco: "La procedura seguita dai medici è conforme alla legge"
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corriere
La sollecitazione inviata alla congregazione presieduta da Hummes
Brasile, appello dei preti: basta celibato
Istanza a papa Ratzinger per consentire ai sacerdoti di avere una famiglia. E per ridare i sacramenti ai divorziati
________________________________________Legge islamica I giornali liberali la difendono
La manager Usa che rischia la vita
per un caffè in Arabia
Da Starbucks col collega: arrestata
___________________________________________________all'origine della tragedia una pesante situazione di disagio familiare
Imola, uccide la figlia e tenta il suicidio
La madre Rosa Turrini, 49 anni, ha assassinato a coltellate Micaela Lelli, 25 anni, handicappata
_____________________________________________________DALL'INDAGINE EMERSE SITUAZIONI DRAMMATICHE DI DEGRADO FAMILIARE
Abusi su una 12enne, arrestati i genitori
Avrebbero "favorito" la violenza sessuale sulla figlia da parte del padrino, anche lui finito in manette
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Rai news 24
Donne e lavoro----------Sgravi fiscali per le donne

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Sono oltre cento le personalità internazionali che in una lettera indirizzata alle autorità iraniane protestano contro la chiusura della rivista Zanan, la più importante voce delle donne nella Repubblica Islamica. Gran parte dei firmatari sono docenti universitari americani, ma tra i nomi più illustri c'è anche quello del Premio Nobel Judy Williams, del sociologo Noam Chomsky e del filosofo Jurgen Haberman. La rivista Zanan è stata chiusa lo scorso 2 febbraio per ordine della magistratura di Teheran. La rivista diretta da Shahla Sherkat è accusata di "turbare gli animi e le coscienze delle donne" proponendo articoli che mettono in discussione la morale islamica.

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manifesto 20 febbraio 08
Un portantino telefona prima delle 19 al 113, perché una donna sta partorendo nel bagno del secondo policlinico di Napoli. Gli agenti ottengono il via libera ad intervenire dal pm Russo. Alle 19.20 arrivano a sirene spiegate e secondo i testimoni, tra cui il responsabile dell'Ivg Francesco Leone, bloccano le uscite, interrogano personale e degenti, poi si dirigono dalla paziente appena uscita dalla sala operatoria per il raschiamento. La donna è confusa dopo un pomeriggio di contrazioni indotte e l'effetto dell'anestesia. L'ispettrice non si «intenerisce», chiede informazioni riservate e anche superflue: nome del padre e motivi dell'aborto. Nella confusione ipotizzano le accuse per i sanitari: mancata rianimazione del feto, ma non è un reato solo un'iniziativa provocatoria di un gruppo di medici qualche giorno prima. Allora si parla di «feticidio» alla 21esima settimana. Chiedono il sequestro della cartella clinica e del feto. Non hanno un mandato né c'è flagranza, in quanto il crimine non si realizza in un normale intervento di aborto terapeutico. Chiamano il pm, che si assume la responsabilità. Scoppia un putiferio, scattano le proteste di donne e uomini, dal centrodestra tacciono, eccetto Giuliano Ferrara. Quanto basta per mettere sotto accusa l'operato di polizia e magistratura.
Ieri il Csm ha accolto la richiesta di una verifica avanzata da tutte e sei le consigliere, laiche e togate, subito dopo il blitz. Nicola Mancino, il vicepresidente, ha annunciato il via libera all'istruttoria affidata alla Prima commissione che si occupa «del comportamento dei magistrati». Già subito dopo i fatti le consigliere avevano rilevato come, in quanto accaduto, non si fosse tutelata una persona in un momento di «difficoltà e debolezza». Si era andati oltre i normali accertamenti visto che «la legge 194, disciplinando le condizioni e le modalità per l'interruzione, prevede una procedura che consente di verificare documentalmente l'osservanza delle condizioni di legge».
Fino ad oggi il procuratore generale Giandomenico Lepore ha difeso il pm su tutta la linea, perché per verificare una telefonata, che lo stesso ha definito circostanziata, bisognava intervenire. Gli agenti hanno inviato la relazione su quei 35 minuti al policlinico: un'ispettrice donna avrebbe fatto sommarie domande alla signora che, affermano, si trovava in piedi nella sua stanza. Ma le contraddizioni non mancano. Primo il riscontro tra la telefonata e il reato contestato. Il portantino Ciro De Vivo nei suoi 4 minuti non ha mai pronunciato la parola aborto illegale, bensì riferiva di una signora che stava partorendo nel bagno, con i «ferri in mezzo alle cosce», particolare non provato. La relazione delle pattuglie si scontra con tutte le testimonianze delle ricoverate e dei sanitari che descrivono un atteggiamento spropositato rispetto al luogo e ai fatti contestati: sono state bloccate le entrate di un reparto ostetrico, mettendo in agitazione madri che stavano per partorire. Quanto alla donna, i testimoni concordano che si trovava nel suo letto (abbastanza plausibile appena 20 minuti dopo un raschiamento) dolorante e in stato confusionale. Ora spetterà al procuratore generale della Corte d'Appello, Vincenzo Galgano, fornire tutte le spiegazioni sulle decisioni di Russo, sia al ministro della giustizia Scotti che al Csm. Dopo le proteste corali, come ha detto lo stesso Mancino «si tratta di capire bene cos'è accaduto nell'ospedale, che peraltro è una struttura pubblica».
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Eppure un caso di aborto clandestino praticato con uncini da "mammane" non è usuale neppure tra gli immigrati. Tanto meno nella comunità cinese, dove le donne semmai fanno più facilmente ricorso alla pillola abortiva Ru486, spesso importata illegalmente dalla Cina dove è in uso dal 1988. Ovviamente, quando ci riescono. «Alle strutture clandestine si rivolgono soprattutto le donne cinesi arrivate da poco, quelle che si affidano alla comunità di appartenenza. Altrimenti, c'è la tendenza a farsi assistere dal servizio sanitario italiano», ha spiegato ieri don Giovanni Momigli, presidente della Fondazione fiorentina Spazio Reale e profondo conoscitore della comunità cinese locale, che è una delle più numerose in Italia. Particolarmente importante, oltre che popolosa, è la chinatown che si è andata via via strutturando negli ultimi quindici anni nel centro della vicina città di Prato con l'immigrazione proveniente dalla provincia di Wenzhou, situata nel sud-est della Cina. I primi insediamenti a Firenze risalgono invece agli anni '70. «Sono circa cinquemila i cinesi ufficialmente presenti in città impegnati soprattutto nel commercio e nell'artigianato - ha spiegato ieri Hua Lin Lai, rappresentante degli immigrati nel consiglio comunale fiorentino - gli ambulatori clandestini ci sono, ma chi è regolare e conosce le leggi italiane si rivolge alle Asl. A volte chi va dai medici clandestini lo fa solo per ignoranza». Ma anche per paura o per sfiducia nei confronti dei medici italiani. Comunque sia, negli anni scorsi sia a Prato che a Firenze le forze dell'ordine hanno scoperto alcuni ambulatori illegali, spesso allestiti all'interno di fabbriche gestite da immigrati cinesi.
«Gli inquirenti chiariranno, ma l'episodio della giovane cinese ricoverata in gravi condizioni per un probabile aborto clandestino dice che è arrivato il momento di dire alt a certe polemiche strumentali - ha commentato la ministra delle Pari opportunità Barbara Pollastrini - Proviamo a immaginare che cosa potrebbe accadere se si dovesse determinare un clima persecutorio e di isolamento nei confronti delle donne che decidono di interrompere una gravidanza». Lo scenario è facilmente prevedibile, basta tornare con la memoria a quello che accadeva in Italia prima della legge 194: 350 mila aborti clandestini che uccidevano ufficialmente almeno una decina di donne l'anno. Anche se le stime più serie, come spiega Angela Spinelli, direttore del Dipartimento Salute della donna e dell'età evolutiva dell'Iss, parlano di almeno 300 donne salvate dalla 194 ogni anno. Altro che diritto all'aborto, dunque, ma una legge contro l'aborto.
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L'inquietudine è forte, poiché il presidente Nicolas Sarkozy sembra voler riaprire la questione del posto della religione nella repubblica. C'è stato il discorso fatto in Vaticano, prima di Natale, dove ha affermato che, per l'educazione dei bambini, «il maestro non potrà mai sostituire il parroco o il pastore». Poi il presidente ha citato dio ben 13 volte in Arabia saudita, di fronte a un regime che fa riferimento a una tendenza estremista dell'islam, i wahabiti. Dove vuole arrivare Sarkozy? si chiedono inquieti i laici in Francia. Nel libro che aveva pubblicato nel 2004, sulla questione religiosa, Sarko affermava di voler voltare pagina rispetto alla situazione del passato, fondata dalla legge di separazione dello stato dalle chiese del 1905. Più volte ha parlato di «spolverare» questa legge, di «attualizzarla». Quando era ministro degli interni (e dei culti), ha svolto un ruolo importante per la creazione del Consiglio francese del culto musulmano, un'istanza rappresentativa dell'islam in Francia. L'obiettivo di Sarkozy sembra essere una revisione della legge del 1905, per permettere agli enti locali di finanziare la costruzione di luoghi di culto (è una richiesta dei musulmani, che ne hanno meno, hanno pochi soldi e sono quindi obbligati a rivolgersi all'estero per i finanziamenti).
Negli ultimi giorni, l'Eliseo ha un po' frenato le voci sulla revisione della legge del 1905, perché l'inquietudine cresce in un paese fortemente segnato da cent'anni di sanguinose guerre di religione e dove toccare quella legge è equiparato a una vera e propria dichiarazione di guerra. Ma Sarkozy è circondato da cattolici praticanti all'Eliseo. La sua direttrice di gabinetto, Emmanuelle Mignon - tra l'altro all'origine della controversa proposta di far «adottare» un bambino ebreo deportato da ogni allievo di quinta elementare - è ex allieva dei gesuiti ed è capo scout. Inoltre, il presidente francese guarda ai neo-con Usa come modello ideologico.
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Il giudizio della cassazione è netto: un «rapporto incestuoso», così come «un rapporto omosessuale» sono tra i «fatti disonorevoli» che consentono di astenersi dal testimoniare e dover rivelare, ad esempio, le ragioni per le quali il testimone «era presente in un certo posto a una certa ora». Nel motivare la sua decisione, la Cassazione afferma tra l'altro che la tutela accordata dal primo comma dell'art. 384 codice penale («Casi di non punibilità») riguarda non solo le cosiddette «dichiarazioni indizianti» - cioè il testimone che sarebbe altrimenti costretto ad autoaccusarsi - «ma anche tutte le altre dichiarazioni dalle quali potrebbero emergere fatti disonorevoli (un rapporto incestuoso; un rapporto omosessuale) per il testimone (richiesto ad esempio di indicare le ragioni per le quali era presente in un certo posto a una certa ora)».
«E' gravissimo che un organismo istituzionale come le sezioni unite della Corte Suprema di Cassazione definiscano un 'fatto disonorevole' un rapporto omosessuale - commenta Aurelio Mancuso -. Noi ci consideriamo assolutamente orgogliosi dei nostri amori e dei nostri rapporti. Disonorevole è il pregiudizio il sociale, l'omofobia e sentenze come questa».
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Liberazione 21-02-08
La risposta a Magris (e tanti altri maschi) su cosa vuole dire «rispettare la vita» | |
Abortire ovvero una decisione altamente morale | |
Italo Calvino* |
Le donne della Sinistra: «Vogliamo essere più presenti» | |
Donne presenti in sede di formazione delle liste, a capo delle liste in numero significativo, e in alternanza e più presenti in tutte le occasioni di esposizione mediatica: sono le proposte presentate dalla parlamentare Fulvia Bandoli, della Sinistra democratica ed esponente della Sinistra l'Arcobaleno. «Si tratta di scelte - ha spiegato Bandoli - necessarie per costruire in Italia una Sinistra Arcobaleno grande, autenticamente plurale, capace di parlare al cuore e all'intelligenza di donne e uomini, di attrarre alla politica le giovani ed i giovani di oggi». «Non vogliamo - ha proseguito - che, come troppe volte è successo nella storia della sinistra, le intenzioni più nobili vengano oscurate da pratiche strumentali, quelle di una politica che continua ad essere nelle mani di ristrettissimi gruppi maschili tesi a perpetuare se stessi. Ci preoccupa che a volte anche gli uomini della sinistra non riconoscano autorità ruolo e libertà alle donne. Non ci convince - ha concluso Bandoli - un percorso unitario che si riduca ad un puro assemblaggio elettorale di ciò che c'è, riteniamo essenziali nuove forme di partecipazione, la voglia di esserci di tante e di tanti che si impegnano e si organizzano fuori dalle forze politiche». Dalle donne della Sinistra giunge anche una proposta, provocatoria ma non troppo: un busto della Merlin in Senato. «Nel giorno dell'anniversario dell'approvazione della legge Merlin, di cui quest'anno ricorre anche il centenario della nascita vogliamo ricordare questa parlamentare indomita che ha fatto tanto per le donne». L'idea è stata presentata da Lidia Menapace, Tiziana Valpiana, Erminia Emprin e Giovanna Capelli che hanno chiesto che la senatrice socialista, ma anche altre illustri donne, vengano ricordate in aula con dei busti, a fianco di altre personalità illustri, tutte maschili che affollano le sale e i corridoi di palazzo Madama. «Tina Merlin - ricordano le senatrici - è passata alla storia soprattutto per la famosa "Legge Merlin" quella che tolse dall'ordinamento giuridico italiano l'obbrobrio di uno stato che guadagnava sui casini. La Merlin lottò per la libertà di azione delle donne, ottenendo, allora tra le prime in Europa, che la prostituzione non fosse più un reato e non potesse essere regolamentata dallo stato, tenendo le prostitute praticamente in stato di schiavitù». All'inizio di questa legislatura le senatrici avevano chiesto al presidente Marini di mettere un busto della Merlin a palazzo Madama. La stessa richiesta le senatrici estendono a: «Grazia Deledda, Maria Montessori (premi Nobel), Anna Magnani (della quale anche ricorre il centenario della nascita), Giglia Tedesco che fu vicepresidente del Senato, la più alta carica che una donna abbia ricoperto in questo ramo del Parlamento». «Restiamo in (non tanto), fiduciosa attesa». |
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