Questione di genere e questione economica. Una questione, per dirla con i dati dell'ultima conferenza promossa a Catania dal titolo emblematico "Donne, innovazione e crescita: un problema italiano", che relega il nostro paese ai penultimi posti in Europa. In Italia? Lavora solo il 46,3% di donne. Più di sette milioni sono in sostanza fuori non solo dal mercato del lavoro ma anche dalle decisioni, dalla produttività, dal contesto sociale. In definitiva ai margini. Una situazione che si fa drammatica al Sud dove il tasso di disoccupazione tocca i massimi con ben il 34,7% di donne disoccupate. A dirla tutta, negli ultimi mesi, ci ha superato persino la Grecia e, dopo l'Italia, ultima in classifica si pone Malta. Senza contare che la questione di genere si pone ancora con più urgenza se si va a cogliere l'altra faccia della stessa medaglia: quello che non consente alle donne di emergere nei ruoli che contano, nei posti di comando. Una questione che si fa quanto mai urgente e proprio in vista del prossimo appuntamento elettorale, con una legge, il noto Porcellum, così denominata proprio da Calderoli, che, di fatto, non prevede neppure formalmente la possibilità di quote rosa da distribuire all'interno delle liste elettorali, bloccate e quindi inevitabilmente rimesse alla scelta dei singoli partiti. Prodi nel suo precedente governo aveva cercato di intervenire. Mettendo tra le priorità anche in finanziaria articoli che prevedevano il sostegno all'imprenditoria così ancora i congedi per le cosiddette politiche di genere. La situazione, se non considerata però anche in termini economici, non spiega fino in fondo il "gap" che divide l'Italia dal resto d'Europa. Nel marzo del 2000 a Lisbona si inserì tra le priorità della crescita non solo culturale ma produttiva dell'intero vecchio continente proprio l'occupazione femminile. L'obiettivo era raggiungere quota 60% entro il 2010. Vale a dire occorreva far sì che entro il termine previsto il 60% delle donne fossero impiegate. Ora la situazione, a due anni dal fatidico target, è che mentre la media europea si aggira sul 57,4%, quella italiana è ferma al 46,3%. Ciò significa che il nostro Paese si pone appunto agli ultimi posti in classifica. Senza contare gli altri indici che scattano una fotografia in cui spiccano più le ombre che le luci. Dal 1993 al 2006 le "occupate" sono cresciute di 1.469 mila unità nel centro nord e solo di 215mila al sud; molte sono le donne giovanissime che hanno persino rinunciato a cercare lavoro e sono ben 110 mila tra il 2006 e il primo semestre 2007. Tra i 35 e i 44 anni di età che è la fascia in cui si lavora di più, si evidenzia ancora un altro divario perché al Nord lavorano 75 donne su 100; al centro 68 e al Sud 42. E, nonostante tutto, anche quando si lavora, sono in una percentuale bassissima le donne ai cosiddetti posti di comando. E così ancora si scopre in altri rapporti che nel 63% delle aziende quotate in borsa, non c'è una donna nei consigli di amministrazione. Su oltre duemila consiglieri solo 110 sono donne, appunto il 5%. E così nella banche. Su un campione di 133 istituti di credito, il 72,2% dei consigli di amministrazione non conta neppure una donna. Benché il 40% dei dipendenti delle banche siano donne, solo lo 0,36 ha la qualifica di dirigente contro il 3,11% degli uomini. E così le percentuali crescono nelle Asl dove sono donne l'8% dei direttori generali, il 9% dei direttori amministrativi, e il 20% dei direttori sanitari. Sarà dunque compito anche della nuova sinistra porre altre e più specifiche richieste affinché si abbia risposta a una questione che non è solo più di genere ma che, nel nostro paese, assume il tratto di una vera discriminazione. «Le pari opportunità - avverte una nota della Presidenza del Consiglio - sono in Italia un problema evidente come denunciano le statistiche». «A prescindere da chi vincerà le elezioni - auspica la stessa Emma Bonino presente insieme a Barbara Pollastrini e a Rosy Bindi invitate al convegno in qualità di ministre già prima della caduta del governo - questa resta un'emergenza nazionale. Un'emergenza non solo di genere ma produttiva che investe per intero le prossime politiche da attuare». Un'emergenza a cui dare soluzione. CM
12/02/2008 |
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