Siamo un gruppo di donne: amiche, colleghe, mamme... Da tempo mettiamo le nostre esperienze di solidarietà femminile in comune, ne parliamo, riflettiamo, e pensiamo che molte donne costruiscano, nella vita di tutti i giorni, una silenziosa ma potente rete di affetti, di aiuti, di sostegno. Alcune di noi vengono da altre esperienze o vi sono tuttora coinvolte (Comitato per la pace Spartacus, Collettivo Echidna, Mamme per la Pace...), altre si sono semplicente unite confluendo il loro apporto personale di donne attente alla realtà che ci circonda e con la volontà di "uscire dal silenzio". Abbiamo pensato di costituire un gruppo, il Collettivo Pacha Mama, per cercare di essere un punto di riferimento e di scambio di esperienze per chiunque si senta sensibile alla lotta e alla solidarietà femminili.

AVVISO


Ciao a tutt*, è stata ripristinata la mail vecchia:

pachamama.ferrara@hotmail.it

ci auguriamo che non venga bloccata mai più

sezioni

20 mag 2008

Lettera aperta

Mi guardo intorno con un po' di sgomento e mi rendo conto che da qualche tempo ho cominciato ad avere paura.
Non mi sento più sicuro in questo paese.
Guardo il telegiornale e assisto impotente a una serie di servizi sulla criminalità degli stranieri. La prima notizia tratta di una zingara che ha cercato di rapire un bambino. La seconda di un extracomunitario che ha violentato una ragazza. La terza notizia parla di furti in villa commessi da stranieri.
Io però non ho paura degli extracomunitari: in questo momento, in questo paese, ho paura dei miei connazionali.
Ho paura degli italiani.
Da anni ormai l'informazione lavora a creare un clima razzista. Io credo che chi sbaglia, a prescindere da sesso, razza e religione, debba rispondere delle proprie azioni. Rimango però stupito nell'apprendere che il rumeno che uccide rimane sui giornali per settimane mentre l'italiano che commette lo stesso reato ha il privilegio di venire immediatamente dimenticato dai mass media. Ora, mi rendo conto che occorra trovare dei capri espiatori per far credere agli ingenui che la situazione italiana non sia colpa degli italiani stessi e di una classe politica inadatta, ma possibile che la gente creda veramente che, in un paese in cui ci sono la mafia e la camorra, l'emergenza sicurezza sia da attribuire ai rom?
Vedo in tv uno speciale sulla criminalità, intervistano brave famiglie di Reggio Emilia, sono tutti indignati per la presenza di stranieri. Il giornalista chiede se questi delinquono e la gente risponde: “no, no... anzi...”.
Il vero problema è che siamo razzisti.
Senza scuse né giri di parole. Vogliamo la forza lavoro, vogliamo pagarli poco, magari farli lavorare in nero e poi vogliamo che quelle stesse persone che sfruttiamo scompaiano nel nulla alla fine del turno. Non li vogliamo nel nostro stesso palazzo, neghiamo loro i diritti che ogni cittadino dovrebbe avere e pretendiamo che questi stiano zitti solo perché “sono in casa nostra”. Non vogliamo vedere gli stranieri nei nostri bar, nelle nostre piazze, nelle nostre scuole. Non vogliamo concedere loro la possibilità di mescolarsi con i nostri figli, di pregare il proprio Dio, di diffondere la loro cultura. Perché li riteniamo esseri inferiori, carne da macello destinata alla produzione senza pensare che dietro a quei nomi stranieri che fatichiamo a pronunciare ci sono uomini e donne che hanno rischiato la vita per assicurare un futuro migliore ai propri figli.
Che poi è la stessa cosa che abbiamo fatto noi italiani sino a non molto tempo fa, quando emigravamo in America e venivamo sottoposti alle stesse umiliazioni che oggi infliggiamo agli stranieri. Però ce ne siamo dimenticati perché è più facile vedere solo il proprio pezzetto di giardino piuttosto che avere una visione globale del problema e se qualcuno ci fa notare questa cosa subito ci indigniamo e diciamo “eh, ma è successo tanto tempo fa”.
Sento i discorsi della gente in treno, dicono che gli stranieri puzzano, che parlano sempre ad alta voce, che i rom devastano ogni cosa, che gli stranieri fanno pipì per la strada e poi fanno quella cosa strana, come si chiama, quel Ramadan. Ma si può? In un paese cristiano come il nostro! È una vergogna... una vergogna...
Eppure le fabbriche hanno bisogno di queste persone, gli imprenditori hanno bisogno di gente ricattabile e senza diritti e anche la malavita organizzata italiana (che, a sentire i telegiornali, è scomparsa) ne ha bisogno.
o cammino per le vie di Bologna, la città in cui lavoro, e percepisco la paura delle persone che stanno per la strada. Quando ti fermi a chiedere un'informazione la gente scappa e ti guarda terrorizzata, se cammini più velocemente degli altri e ti avvicini troppo a qualcuno quello subito si volta a guardarti e afferra la propria borsa come se tu volessi rubargli il portafogli. Ho sentito ragionamenti del genere “tutti a casa propria” oppure “i soldi devono rimanere nelle regioni di provenienza”, a un certo punto (sempre in treno, sono pendolare) qualcuno teorizzava di mandare a casa tutti gli extracomunitari, di curare tutti i “froci” e di dividere il nord dal sud. Be' almeno lui aveva le idee chiare.
Quello che è un po' confuso e spaesato sono io.
Sino ad un anno fa si parlava di PACS, di integrazione, di voto agli stranieri e oggi si dà' fuoco ai campi Rom e si parla di tolleranza zero. Mi devo essere perso qualche passaggio, la società italiana si è trasformata improvvisamente da una società desiderosa di andare “avanti” ad una società chiusa e razzista.
E poi mi chiedo: ma tolleranza zero verso chi? Verso i ragazzi (italiani) che a Verona hanno ucciso un ragazzo per un futile motivo? Verso i bulli (italiani) che hanno incendiato i capelli ad un loro amico e che avevano, sul computer, foto e siti neonazisti? Verso i ragazzi (italiani) che hanno violentato e ucciso una loro compagna di classe di quattordici anni? Verso l'italiano che ha stuprato una ragazza rumena? O la tolleranza zero deve valere solo per gli extracomunitari e i nostri figli devono essere lasciati liberi di delinquere?
ì, io mi sento meno sicuro in questo paese e ho molta paura.

Degli italiani però.

Marino Buzzi

2 commenti:

Anonimo ha detto...

sottoscrivo in pieno tutto quello che dice Marino. Anche se io personalmente non mi lascio fare paura ho però paura per gli altri: zingari, extracomunitari, stranieri, omosessuali e diversi in genere tra cui le donne, per antonomasia, sono le più diverse.

Anonimo ha detto...

Che dire di fronte ad un'analisi così dolorosa, nella sua pacatezza risulta ancora più potente. Al di là del solito meccanismo delle comunità di cercare capri espiatori per rinforzare i legami sociali senza dover affrontare i problemi interni al gruppo, mi colpisce il fatto che il razzismo e il sessismo siano così strettamente intrecciati da alimentarsi l'uno con l'altro. Agli eventi ricordati da Marino aggiungo, anche se non ci sarebbe bisogno di ulteriori esemplificazioni, un brano di Gabriele Polo, tratto da un articolo del Manifesto del 21 maggio 2008, a proposito dello stupro di gruppo e ripetuto da parte di 23 ragazzi ai danni di una quattordicenne:
" [la cronaca] di ieri ci rimanda un episodio avvenuto quattro anni fa nella civilissima e ricca Toscana, tra Lucca e Montecatini. Una prolungata violenza di gruppo (maschile) ai danni di una quattordicenne. Se ne riparla perché si deve decidere se rinviare a giudizio i 23 minorenni che per dieci mesi hanno abusato di una ragazzina sudamericana adottata da una famiglia del posto: scopate di gruppo, ripetute e filmate. Con il «consenso» della ragazza, è la tesi della difesa. Tesi già accolta da un giudice che ha incredibilmente assolto i maggiorenni coinvolti nella «lunga festa». Quale consenso possa dare una bambina di fronte al gruppo maschile che la blandisce fino a costringerla al consumo del proprio corpo è difficile da capire. Se non nell'assurdo del branco che minaccia di espellere dal «gruppo» chi si nega, nel ricatto di un filmato da esibire come prova «che quella è una puttana».
Ancora più che la barbarie di questi giovani futuri uomini mi colpisce la decisione del giudice, che si rivela portatore di una cultura che credevamo almeno intaccata dalle lotte e dalle elaborazioni di donne e uomini negli ultimi decenni, una cultura secondo la quale le donne sono "per natura" puttane (quindi se sono stuprate l'hanno voluto loro) e come tali sono incapaci di una reale autodeterminazione, ma vanno controllate, guidate, protette dalle proprie inclinazioni e debolezze.

Adriana

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