Siamo un gruppo di donne: amiche, colleghe, mamme... Da tempo mettiamo le nostre esperienze di solidarietà femminile in comune, ne parliamo, riflettiamo, e pensiamo che molte donne costruiscano, nella vita di tutti i giorni, una silenziosa ma potente rete di affetti, di aiuti, di sostegno. Alcune di noi vengono da altre esperienze o vi sono tuttora coinvolte (Comitato per la pace Spartacus, Collettivo Echidna, Mamme per la Pace...), altre si sono semplicente unite confluendo il loro apporto personale di donne attente alla realtà che ci circonda e con la volontà di "uscire dal silenzio". Abbiamo pensato di costituire un gruppo, il Collettivo Pacha Mama, per cercare di essere un punto di riferimento e di scambio di esperienze per chiunque si senta sensibile alla lotta e alla solidarietà femminili.

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Ciao a tutt*, è stata ripristinata la mail vecchia:

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ci auguriamo che non venga bloccata mai più

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23 feb 2010

Lettera di Luciana Tufani sulla morte di Sahid Belamel

Questa è una lettera che ho mandato al quotidiano La Nuova ferrara e che è stata pubblicato come articolo domencia 22 febbraio. Se ho scritto solo sabato 21 è perché non leggo i quotidiani né ferraresi né nazionali, tranne che in poche occasioni, e ho letto per caso La Nuova con la notizia allucinante della morte di Sahid Belamel.

Sulla morte per assideramento del giovane Sahid Belamel vorrei condividere alcune considerazioni. Non voglio accanirmi contro gli automobilisti che non gli hanno prestato soccorso accusandoli di essere i soli responsabili di questa terribile e inquietante vicenda. Non sono del tutto convinta che le loro motivazioni siano da attribuire a razzismo e a uno spaventoso cinismo. Razzismo non credo, perché al buio è difficile distinguere una persona dall’altra, piuttosto, forse, omofobia perché avrebbero potuto pensare a un attacco dopo un incontro sessuale. Penso però che la spiegazione sia più complessa e credo di capire che il loro comportamento sia riconducibile in buona parte alla paura. Che può cogliere chi improvvisamente, in piena notte, si trova di fronte a una situazione imprevista che richiede coraggio e senso di responsabilità: si tratta di valutare se comporta dei rischi o se richiede un coinvolgimento troppo impegnativo. Cerco di immedesimarmi nei mancati soccorritori che avrebbero potuto pensare di trovarsi aggrediti da chi, forse ancora nei paraggi, avrebbe potuto aver ridotto il ragazzo in quello stato, oppure avrebbero temuto di non essere in grado di soccorrere una persona che poteva morire tra le loro braccia. Assolutamente ingiustificabile invece non aver avvisato il pronto soccorso e non riesco a immaginarne un possibile motivo.
Che la paura sia alla base di ogni intolleranza è troppo noto perché mi addentri in un discorso su questo fatto. Sottolineo però che se in questi anni l’intolleranza è salita a livelli, questi sì, intollerabili è perché sono state alimentate ad arte le paure inconsce della popolazione che si sente autorizzata a esternare i pensieri più biechi e sempre più spesso a passare dalle parole ai fatti. Hanno incominciato i politici di centro destra che avevano più interesse a puntare sul tema della sicurezza, purtroppo quelli di sinistra sono caduti nella trappola e hanno voluto dimostrare di non essere da meno, in seguito, come se non bastasse, hanno ceduto alle ricattatorie richieste, economiche e politiche, di una chiesa sempre più intollerante e reazionaria. Pesanti colpe vanno perciò alla nostra classe politica e alle gerarchie ecclesiastiche per questo clima ormai irrespirabile ma anche a certo giornalismo irresponsabile che ha fomentato con i suoi articoli gli odi e le paure.
Che fare ora? Non so, temo sia ormai troppo tardi per un’inversione di tendenza.
Per questo episodio specifico, visto che le telecamere hanno ripreso le macchine che non si sono fermate a soccorrere Sahid Belamel, si dovrebbero rintracciare i conducenti e processarli per omissione di soccorso. Non che io chieda una condanna, non servirebbe a ridare la vita a Sahid. Da atea e da persona civilizzata sono contraria a qualsiasi forma di “pena” e mi augurerei che dopo centinaia di anni da quando è stata scritta la Bibbia si abbandonasse non solo l’uso ma anche il concetto di “occhio per occhio, dente per dente”. Un processo potrebbe però servire, forse, a dare il tempo e l’occasione ai processati di riflettere sui loro comportamenti e magari, chissà, ad arrivare a capirne anche le cause.
Luciana Tufani
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