Siamo un gruppo di donne: amiche, colleghe, mamme... Da tempo mettiamo le nostre esperienze di solidarietà femminile in comune, ne parliamo, riflettiamo, e pensiamo che molte donne costruiscano, nella vita di tutti i giorni, una silenziosa ma potente rete di affetti, di aiuti, di sostegno. Alcune di noi vengono da altre esperienze o vi sono tuttora coinvolte (Comitato per la pace Spartacus, Collettivo Echidna, Mamme per la Pace...), altre si sono semplicente unite confluendo il loro apporto personale di donne attente alla realtà che ci circonda e con la volontà di "uscire dal silenzio". Abbiamo pensato di costituire un gruppo, il Collettivo Pacha Mama, per cercare di essere un punto di riferimento e di scambio di esperienze per chiunque si senta sensibile alla lotta e alla solidarietà femminili.

AVVISO


Ciao a tutt*, è stata ripristinata la mail vecchia:

pachamama.ferrara@hotmail.it

ci auguriamo che non venga bloccata mai più

sezioni

18 feb 2008

Rassegna 17/18 febbraio 08

manifesto 16-02

Aborto, questione politica
Maria Luisa Boccia

A Napoli, Roma, Bologna, Firenze, Milano le donne hanno dato parola e corpo a una differente politica. Che ha i suoi luoghi, dalle piazze alle università e scuole - con le loro affollate assemblee - alle case e centri di donne. Per un giorno se ne sono accorti i media, le tv lasciandola ai margini, i giornali con titoli in prima pagina. A fare notizia è stata la reazione immediata e diffusa delle donne al blitz di Napoli. Una violenza istituzionale, in violazione del diritto. Non solo della legge 194, ma dei principi e delle regole alle quali devono attenersi gli organi e i funzionari dello Stato. Tanto più se si tratta di intervenire in un ospedale, di inquisire una donna che ha appena abortito, di mettere mano su cartelle mediche e mettere in dubbio la responsabilità dei medici e la riservatezza della relazione medico-paziente. Tanto più è risultato surreale sentire dichiarare da laeder politici, in quelle stesse ore, che l'aborto deve restare fuori della campagna elettorale, affidato, in quanto tema «eticamente sensibile», alla libertà di coscienza. Ma di cosa parlano Veltroni e Berlusconi? Della loro preoccupazione di come prendere voti? Se peserà di più, nella conta finale, il voto cattolico o quello femminile? Farà presa l'immagine dell' aborto come omicidio eugenetico, perpetrato da donne in preda a delirio di onnipotenza? Oppure prevarrà la convinzione, radicata nell'esperienza e nel senso comune, che la prima parola e l'ultima non può che essere della donna? Questo è il nocciolo etico del discorso, il solo che fa ordine nello scenario tecnologico e scientifico come nelle pratiche sociali. E come tale deve essere considerato nella legge e nella politica. L'aborto è infatti questione tutta politica. E di primaria importanza. Come peraltro ben vede chiunque non sia abbagliato dagli artifici della scena politicomediatica. E' questa politicità che si cerca di negare con il rinvio all'etica e alla libertà di coscienza. Ma non funziona. Rende solo più assordante il silenzio su quanto accade. Un silenzio che non ha lo stesso segno, e lo stesso effetto, per Pd e Pdl. Berlusconi infatti prima si è schierato con i tutori della Vita, e dunque contro la scelta della donna, e solo dopo ha fatto un passo indietro. Lasciando ad altri l'offensiva. Ben più vistoso è l'imbarazzo di Veltroni e del Pd a pronunciarsi nel merito della campagna in atto: dalla moratoria contro l'aborto, alle sperimentazioni per tenere in vita, a tutti i costi, i feti, all'inammissibile blitz della polizia. E per non fare propria la parola femminile. Come dovrebbe, se tenesse conto della storia politica, culturale, civile e istituzionale del paese. Senza la quale risulta del tutto vuoto e retorico, il termine «democratico», assunto come qualità onnicomprensiva e autosufficiente del suo partito. Fuori da questo schema , minimizzare da un lato, e lasciar fare dall'altro, c'è l'autonomia politica delle donne. E la capacità di tenerne conto. SEGUE A PAGINA 5
Dalla Sinistra Arcobaleno un segno è venuto, con le prese di posizione di questi giorni. Ovviamente anche qui ci sono opacità. C'è però lo spazio di un confronto, e di un conflitto, perché c'è una trama di relazioni politiche tra donne che lo sta attivamente costruendo.
Riprendo quanto abbiamo scritto in un testo presentato all'Assemblea del 10 febbraio al Farnese: «Mai come oggi è giusto e imprescindibile che sia la donna decidere della procreazione e della nascita. Potrà consigliarsi, potrà ascoltare il medico ma la prima e l'ultima parola sarà soltanto sua. Oggi che nelle istituzioni, nei partiti, nell' informazione sono troppe e assordanti le voci maschili che pretendono di dettare legge, o imperativi etici, ignorando la parola femminile; quella dell'esperienza, come quella politica». Riconoscerlo, vuol dire dare valore e priorità alla parola femminile nella sfera pubblica e politica. Solo così si farà chiarezza. Rispetto a chi mena fendenti ideologici, mettendo in conto di colpire Silvana, una di noi, esposta, a nudo, al giudizio pubblico, divenuta, suo malgrado, bersaglio e simbolo del rifiuto maschile della libera responsabilità femminile. E rispetto a chi si rifugia nel «No alle strumentalizzazioni», per il timore, del tutto simile, di affidarsi all'autorevolezza della parola femminile.
Non c'è da registrare un «ritorno» del femminismo, vecchio o nuovo. E' il momento di verificare se da parte degli uomini, innanzitutto con ruoli politici verrà chiarezza, nelle parole e negli atti. Di un segno, o dell'altro.

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194, difesa in fotofinish
A governo scaduto Livia Turco accelera per garantire la corretta applicazione della legge sull'aborto
Eleonora Martini

Alle tante donne scese in piazza giovedì, Livia Turco ha voluto probabilmente dare ieri un segnale un po' più concreto della sua assoluta convinzione che la legge varata nel lontano 1978 per combattere l'aborto clandestino è ancora oggi ottima e lungimirante. E va difesa ad ogni costo. Per dimostrarlo ha giocato le sue ultime carte da ministro della Salute dando un colpo di acceleratore all'Intesa Stato-Regioni - dovrà essere siglata entro il 6 marzo prossimo - con la quale si intende migliorare e rendere omogeneo in tutto il territorio italiano l'applicazione della 194 in ogni sua parte. Non si tratta di linee-guida, visto che la legge non le prevede, ma «indirizzi vincolanti per le Regioni», sempre che vengano ratificate nella forma attuale. Al contrario invece le linee-guida sulla fecondazione artificiale previste dalla legge 40 e da rinnovare «almeno ogni tre anni» sono pronte e Livia Turco ha annunciato che lunedì le trasmetterà al Consiglio superiore di Sanità.
Una delle novità principali dell'Intesa, così come proposta dalla ministra, prevede che la cosiddetta «pillola del giorno dopo» debba poter essere prescritta non soltanto nei consultori ma anche nei Pronto soccorso e dalla guardia medica. Sembrerebbe scontato che la «contraccezione d'emergenza» possa essere disponibile in tutte le strutture aperte 24 ore su 24, eppure non è così. Perché quasi sempre i medici obiettori all'Ivg trattano il farmaco come fosse un abortivo, rifiutandosi di prescriverlo. Per avere una misura del fenomeno, si noti che nel 2005 risulta aver opposto obiezione di coscienza il 58.7% dei ginecologi italiani, il 45.7% degli anestesisti, ed il 38.6% del personale non medico. In particolare i ginecologi obiettori sono il 63,1% del totale al Nord, il 70,3% nell'Italia centrale, il 50% nel Meridione e il 43,8% nelle isole.
Non potendo diminuire ovviamente queste percentuali, l'Intesa da siglare nella Conferenza Stato-Regioni si limita solo a stabilire che ci sia almeno un medico non obiettore ogni Distretto sanitario, cioè ogni 60 mila abitanti, in modo da distribuire uniformemente il servizio sul territorio e garantire l'applicazione della legge 194.
Per il resto il patto vincolante con le Regioni punta molto alla prevenzione dell'interruzione volontaria di gravidanza. In primo luogo aumentando il numero dei consultori familiari presenti sul territorio e potenziandone il personale. Inoltre chiede che vengano garantiti orari adeguati e spazi dedicati agli adolescenti. Per loro e per le donne immigrate, le fasce maggiormente a rischio - e comunque per i gruppi sociali meno abbienti - l'Intesa prevede un miglioramento dell'informazione contraccettiva a partire soprattutto dalle scuole, e la distribuzione gratuita nei consultori di farmaci anticoncezionali. Infine ricorda che va assicurato l'anonimato del parto, per ridurre il rischio di abbandono dei neonati o di infanticidio. Il documento messo a punto dai tecnici del ministero della salute però si prefigge anche di offrire i migliori servizi di diagnosi prenatale in modo da evitare il ricorso tardivo all'aborto terapeutico.
Ma Livia Turco ieri ha anche usato molti argomenti dialettici per difendere la sua posizione e, partecipando ad una video-chat organizzata sul sito dell'Unità e moderata dal direttore del quotidiano Antonio Padellaro, ha detto chiaro e tondo almeno due cose: che i temi etici non vanno espunti dalla campagna elettorale, come sostiene invece Walter Veltroni, e che la Chiesa «oggi è poco amorevole verso la vita di tutti i giorni delle persone». Da credente quale è, ritiene infatti che l'inclinazione delle gerarchie cattoliche a proporre «un corpo compatto di temi rispetto al quale è difficile esercitare mediazione», «non sia molto produttiva» per la stessa comunità cattolica. Perché non fa altro che aumentare la distanza dalla vita reale delle persone.
Non una rivoluzione, insomma, quella proposta ieri dalla ministra uscente della sanità. Eppure sufficiente a far scattare la reazione dell'Udc e di An, di nuovo come un sol uomo contro «l'inaccettabile blitz di Livia Turco».
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Le fabbriche degli angeli e la dignità della persona
Lorenza Carlassare, costituzionalista: col blitz di Napoli violati i principi fondamentali della Costituzione italiana e della Carta europea dei diritti. «Adesso è necessaria un'inchiesta rigorosa»
Ida Dominijanni

Contro l'aborto e non solo: il blitz al policlinico di Napoli, malgrado i goffi tentativi di giustificarloa-posteriori come un intervento su un sospetto caso di malasanità, si configura come un episodio gravissimo di sospensione delle garanzie costituzionali. Stefano Rodotà l'ha interpretato, su Repubblica, come un colpo al principio fondamentale della dignità della persona, e come un triste sintomo della situazione di pericolo in cui versano in Italia i diritti civili e di libertà. Ne parliamo con la costituzionalista Lorenza Carlassare.
Dal punto di vista dello Stato di diritto, che cosa è accaduto a Napoli?
Un fatto di una gravità eccezionale, che minaccia un cardine fondamentale del nostro ordinamento. L'intera struttura della nostra democrazia, e di tutte le democrazie occidentali, si basa sul concetto di persona, sul rispetto della persona, sulla dignità della persona. E' precisamente su questa base che la Costituzione italiana segnò il passaggio da uno Stato totalitario a uno Stato democratico: stabilendo che la persona e i diritti della persona vengono prima dello Stato, e capovolgendo così la concezione fascista, che anteponeva lo Stato alla persona. Ed è su questa base che sulla Costituzione si creò il consenso di tutte le forze politiche, il concetto di persona essendo patrimonio sia della tradizione cattolica che di quella laica. La formulazione di Togliatti, «il fine di un regime democratico è quello di garantire un più ampio sviluppo della persona umana», mise tutti d'accordo. E a distanza di sessant'anni, ritroviamo lo stesso principio alla base della Carta europea dei diritti, che all'articolo 1, intitolato «Dignità umana», recita «La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata». E' questo principio fondamentale che è stato violato dal blitz di Napoli.
E la privacy? Il Garante oggi ha avviato un'indagine sui fatti di Napoli.
Giustamente. Pare che a quella donna abbiano addirittura chiesto il nome del padre del concepito! Con quale diritto? Qui c'è chiaramente una colpevole mancanza di consapevolezza sui limiti di un intervento di polizia. La tutela della riservatezza è una soglia sulla quale qualunque intervento si deve fermare. Lo dicono con chiarezza, di nuovo, sia la nostra Costituzione sia la Carta dei diritti europea. Non finisce qui. Col blitz di Napoli è stato violato un altro articolo fondamentale della Costituzione, l'articolo 32, che stabilisce il diritto di ciascuno all'integrità della propria persona «fisica e psichica»: se io mi svegliassi dopo un intervento e mi trovassi di fronte la polizia che mi interroga, mi ci vorrebbero anni per ritrovare la mia integrità psichica. E ancora: nel caso di Napoli, a me pare che si possa parlare di vero e propro trattamento inumano e degradante. Credo proprio che sia necessaria un'inchiesta rigorosa. E una riflessione seria: corriamo il rischio di una regressione a dir poco inquietante della civiltà giuridica e non solo giuridica: se pensiamo che la dichiarazione di Roosevelt annoverava fra le quattro libertà fondamentali la libertà dalla paura...
La 194 è ormai, e non da oggi, esplicitamente sotto attacco, con l'argomento che anche il feto è persona.
Della 194 nessuno osa negare che sia una buona legge, che ha fatto diminuire gli aborti e ha fatto scomparire quei luoghi sinistri in cui prima si risolveva il problema clandestinamente. Ce n'era uno nella mia città, quand'ero piccola, che pudicamente chiamavano «la fabbrica degli angeli». Quanto alla personificazione del feto, dico solo che mi piacerebbe che qualcuno si occupasse dei nati con lo stesso zelo con cui si occupa dei non-nati. Giusto Napoli è piena di bambini lasciati alla strada e alla delinquenza, ma su quelli nessuno invoca moratorie.
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Partiti
Chi parla e chi no pensando alle urne
Micaela Bongi

Entrambi hanno sostenuto che di aborto non si dovrebbe discutere sotto elezioni. Entrambi, dicendolo, sono anche costretti a parlarne, a modo loro. Uno, Silvio Berlusconi, ripetendo che appunto «questo è un tema morale, religioso, culturale e non deve trovare posto nella campagna elettorale e nei programmi di governo». Aggiungendo che «non bisogna cambiare l'attuale legge, ma applicarla meglio» e che «noi su questi temi lasciamo libertà di coscienza».
L'altro, Walter Veltroni, difende la legge 194 perché «ha funzionato contro l'aborto e per una maternità consapevole» e semmai «si può lavorare per aumentare gli interventi sulla prevenzione». Avrà risposto, il segretario, alle aspettative della ministra uscente Livia Turco che chiede al Pd di essere «inequivoco sulla difesa e la piena applicazione della legge 194», perché «è una scelta politica»? La strumentalità con cui, in campagna elettoale, viene affrontata la questione dell'aborto nulla ha infatti a che vedere con il parlarne o meno. Ma, appunto, su quel che accade intorno alla 194, dalle campagne per la moratoria ai blitz della polizia, il calcolo elettoralistico ha spesso la meglio. Il leader del Pdl, che deve anche cercare di tenere sotto controllo Giuliano Ferrara - ieri lo ha «lanciato» come «fantastico sindaco di Roma» escludendo che si presenterà alle politiche - cerca di barcamenarsi, trovando una posizione sufficientemente ambigua che possa essere accettata dai vescovi che fanno il tifo per Casini, dai soci del suo listone e soprattutto dagli elettori e dalle elettrici. Meglio sarebbe, dunque, per il Cavaliere, parlarne il meno possibile. E così Veltroni pensa anche lui a tenere insieme le anime del Pd e a pescare al centro, terreno di caccia per i due partitoni.
Il centro non sta a guardare. E non opta per la reticenza. Il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini, che ormai si è acconciato a correre da solo o accompagnato da altri scampoli di Dc, si trova anche lui a difendere la legge 194. Perché, afferma, «al mondo cattolico non serve proporre di riformare una legge che è il massimo momento di equilibrio possibile» e «se i cattolici ponessero la questione in parlamento avremmo una legge ancora più permissiva». Semmai, la 194 «va applicata in tutte le sue parti», aggiunge Casini, più o meno come Berlusconi e Veltroni, però sfidandoli: «E' troppo comodo dire, come fanno nel Pd e nel Pdl, che i temi eticamente sensibili devono restare fuori dalla campagna elettorale. Invece, devono starci, perchè il legislatore di queste cose, come fecondazione e aborto, deve occuparsi». Non è una posizione sorprendente. Il leader dell'Udc ripete quanto sostenuto quando il Foglio ha lanciato la «moratoria». Un'iniziativa, quella di Ferrara, che il presidente della Cei Angelo Bagnasco definì «lodevole» auspicando una revisione della legge, ma senza scommettere sulla possibilità di modificarla. Quello della «piena applicazione» è il punto di partenza della chiesa.
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Napoli
«Avvenire» accusa i media, Ferrara crea un caso al giorno

Si «è tentato di rendere incandescente il clima alimentando incidenti e creando un altro caso mediatico»; «dichiarazioni al limite dell'isteria» e, una «campagna mediatica - ancora - con punte di violenza verbale da lasciare senza fiato, certo non giustificabili col clima da campagna elettorale». Di cosa parla il quotidiano dei vescovi «Avvenire»? Della reazione provocata da quello che è accaduto al Policlinico di Napoli. Certo, «Avvenire» scrive di «aborto consumato in solitudine», non di «bimbo ucciso perché malato», come strilla «Il foglio» in prima pagina. Ma questa, di campagna, procede a gonfie vele. Con Giuliano Ferrara che trasforma anche in «caso del giorno» un'ospitata a «Unomattina», lasciando il suo interlocutore, che avrebbe dovuto essere ospite con lui per un faccia a faccia sull'aborto, da solo nello studio. Il direttore del «Foglio» non si è presentato. Chiedeva che venissero fatte due interviste separate. E così l'altro protagonista della mattinata, Marco Pannella, rimasto con davanti una poltrona vuota, è andato su tutte le furie e per venti minuti, in diretta, ha tuonato contro Ferrara, contro il Vaticano e contro la «truffa» pepetrata ai suoi danni. Invitato anche lui a «Unomattina», Walter Veltroni quando è arrivato negli studi Rai è stato fatto nascondere in un camerino perché evitasse di imbattersi nel fiume in piena, Pannella, uscito dallo studio continuando a protestare vivacemente per la «buca».
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repubblica 18_02

Rimini, gli stupratori erano una decina, tutti minorenni
e "amici" della vittima. Tra loro c'era anche il fidanzatino

Violenza sessuale di gruppo
su una ragazza di 15 anni


RIMINI - Una ragazza di 15 anni è stata violentata da una decina di giovani che considerava suoi amici, tutti minorenni e di "buona famiglia". Tra gli stupratori anche il fidanzatino della vittima. La violenza ha avuto luogo a Rimini e la notizia è stata data da un giornale locale.

Il Corriere Romagna parla di un gruppo scatenato che ha costretto la ragazza ad atti sessuali contro la sua volontà, nonostante il suo pianto disperato. La vittima ha tenuto a lungo nascosto l'orrore ma poi è riuscita a confidarsi con i genitori che hanno sporto denuncia.

Sui fatti, che risalgono alla scorsa estate, è in corso un'indagine della Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minori di Bologna, competente per territorio. Grazie alle indagini svolte dalla Questura di Rimini, sarebbero già sette i ragazzi identificati: alcuni si vantavano in giro delle loro "gesta".

(18 febbraio 2008)
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LIBERAZIONE QUEER



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